Pubblicato su: Jesus - Rubrica La bisaccia del mendicante - Marzo 2016
di ENZO BIANCHI
Siamo sempre impegnati a vivere l’anno giubilare della misericordia, dunque impegnati a cercare e a scoprire cosa implica la misericordia come Dio ce l’ha svelata quale sua decisiva manifestazione per noi umani.
Forse non si presta sufficiente attenzione ad alcuni particolari del racconto biblico dell’in-principio dell’umanità (cf. Gen 3): un racconto certamente mitico, ma rivelatore, che dovremmo leggere come riferito non a un passato che ci sta alla spalle, non ai primordi della storia, ma a eventi che riguardano la storia delle nostre vite. Quando l’umanità cade in peccato e prova vergogna di se stessa, sentendosi nuda, il Signore Dio fabbrica per l’uomo e la donna tuniche di pelle, affinché possano coprirsi e non siano schiacciati dalla vergogna per la colpa commessa (cf. Gen 3,21). Solo così, non nella paura, non nella vergogna, l’umano può guardare a Dio e farsi vedere da lui.
Questa è la prima azione di misericordia fatta da Dio nei nostri confronti: il Signore copre la nostra colpa, il nostro peccato. Questa azione di coprire, di nascondere da parte di Dio non a caso dà il nome alla grande festa del perdono in Israele (jom kippur, “giorno dell’espiazione”, da kapparà, alla lettera “copertura”), perché in quel giorno, di fronte alla confessione dei peccati possibili, commessi o non commessi dal popolo, Dio li copre, cioè non li vede più, li cancella, li dimentica.
Ecco un aspetto della misericordia di cui facciamo esperienza e che dovrebbe diventare un nostro atteggiamento nella vita fraterna: rinunciare a chiedere agli altri la confessione dei loro peccati; fare silenzio e non vedere il male che viene commesso nei nostri confronti; essere consapevoli che il mistero dell’altro è tale che noi dobbiamo rispettarlo, impedendoci di vedere ciò che fa parte di quel segreto personale a cui ogni persona ha diritto. Possiamo forse giudicare o misurare la fede dell’altro, la sua speranza, la sua carità?
È significativo che Gesù abbia voluto incontrare soprattutto donne e uomini peccatori, preferendoli a quelli che si sentivano giusti (cf. Mc 2,17 e par.), ma mai ha chiesto loro di svelare i loro peccati: li accoglieva così come erano, li andava a incontrare là dove stavano! Ma sapeva sempre dichiarare loro, con parole e gesti, che i loro peccati erano coperti, che erano perdonati da Dio stesso… Per noi è sempre decisivo guardare a come Gesù viveva e si comportava, per scegliere come operare e con quale stile compierlo. I padri del deserto, che cercavano di vivere il Vangelo con semplicità e quotidianità, ci hanno insegnato che l’apice della misericordia è proprio la capacità di coprire il peccato del fratello, nasconderlo e non tenerne conto. Non è forse questo ciò a cui allude Pietro quando scrive che “l’amore copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8; cf. Tb 12,9)? Così il fratello o la sorella non arrossiscono e non si sentono schiacciati dalle colpe né minacciati nei rapporti con gli altri.
Ma ciascuno di noi deve avere anche la capacità di coprire il proprio peccato, quando è stato confessato davanti a Dio o davanti a chi con il nostro comportamento abbiamo offeso. Rimuginare sul proprio peccato, continuare a ricordarlo, a riandare morbosamente al proprio passato, non è cristiano, perché significa non credere che la misericordia del Dio è più grande del nostro peccato e della nostra coscienza che ci accusa (cf. 1Gv 3,20). La coscienza di essere peccatori non ci deve paralizzare e le colpe dei peccati passati non devono restare perennemente un giogo da portare: se Dio nella sua misericordia le ha perdonate, allora dobbiamo accettare che le abbia coperte, dimenticate. Non accogliere il perdono di Dio per noi è per gli altri è veramente un misconoscimento della misericordia. Dicendo alla donna adultera: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11), Gesù è come se le avesse detto: “Ora dimentica anche il tuo passato e guarda avanti nella luce del perdono di Dio, che ti ha rivestito con l’abito nuovo, l’abito della festa”.
Oggi siamo immersi in una cultura della pretesa trasparenza, a ogni costo; ma questo comporta qualcosa di falso e di osceno, perché quando la vita di una persona è quella messa in piazza, allora la sua miseria è grande!