Pubblicato su: JESUS - Settembre 2015 - Rubrica La bisaccia del mendicante
di ENZO BIANCHI
È ormai vicinissima la celebrazione del sinodo dei vescovi che dovrà riflettere e anche prendere decisioni riguardo all’azione pastorale della chiesa verso la realtà della famiglia, come è vissuta oggi nella chiesa e nel mondo. Papa Francesco non solo ha voluto un iter di preparazione realmente “sinodale”, ma ha cercato e cerca di garantire ai padri sinodali la libertà di esprimersi, chiedendo un ascolto reciproco rispettoso, senza condanne né impazienze. Il suo atteggiamento riecheggia quello di Benedetto XV, che nella sua prima enciclica, Ad beatissimi apostolorum (1° novembre 1914), volendo chiudere una stagione ecclesiale di intransigenza, integralismo e impedimento della libertà di espressione e di opinione pubblica nella chiesa, scriveva: “Nelle discussioni si rifugga da ogni eccesso di parole, perché ne possono derivare gravi offese alla carità; ognuno liberamente difenda la sua opinione, ma lo faccia con rispetto, né creda di poter accusare altri di fede sospetta o di mancata disciplina per la semplice ragione che la pensa diversamente da lui”.
Dunque, proprio in nome di questa libertà di espressione, credo si possano porre alcune osservazioni di critica costruttiva sull’Instrumentum laboris che segnerà il dibattito sinodale. Innanzitutto, sarebbe auspicabile una maggior vigilanza riguardo a espressioni e parole che paiono ormai attestate senza un’adeguata. Confesso che l’espressione ricorrente “vangelo della famiglia” mi appare non coerente con una lettura evangelica. Questo genitivo applicato al Vangelo rischia di depotenziare il Vangelo stesso. Nel Nuovo Testamento si parla solo di “Vangelo della pace” (Ef 6,15), di “Vangelo della salvezza” (cf. Ef 1,13), espressioni che attestano la buona notizia che porta shalom e salvezza, in verità sinonimi nel linguaggio biblico. Cosa significa invece questa espressione enfatica? Che c’è una buona notizia-vangelo da parte di Gesù sulla realtà della famiglia? Che la famiglia è buona notizia? Il Vangelo in verità è solo Gesù Cristo e Gesù Cristo è il Vangelo. La famiglia è una realtà relativa che sta nello spazio della sequela, è una realtà umana che non è Vangelo ma, anzi, deve essere evangelizzata. In essa, infatti, coesistono grandezza e miseria, amore e contraddizione all’amore, fedeltà e infedeltà, peccato e grazia.
La vigilanza sulle parole ci spinge a un altro rilievo critico, riguardante l’espressione “matrimonio naturale” (cf. §§ 39-40) o “famiglia solo secondo natura”. Si tratta di un modo di esprimersi possibile solo per chi non si è mai misurato con le ricerche di antropologia culturale, le quali mostrano l’esistenza di diverse forme di famiglia nel cammino di umanizzazione: la poligamia, la poliandria (quest’ultima fraterna o associata) e altre forme che hanno cercato di dare stabilità alla società. Le culture hanno “lavorato” la natura, producendo forme di vita sociale e di convivenza per abitare il mondo, comunicare, associarsi. È la rivelazione cristiana che provoca un urto con queste prassi, è la parola di Dio che annuncia il matrimonio monogamico e indissolubile. Ma non si finisca per affermare superficialmente che l’annuncio cristiano è “naturale” e che tutte le altre forme famigliari sono solo degne di disprezzo, perché questo non è secondo lo spirito cristiano.
L’annuncio del matrimonio cristiano è chiaro, esigente, perché nel rapporto tra uomo e donna, che vivono una storia d’amore e sono legati nell’alleanza della parola data, è significata l’alleanza fedele tra Dio e il suo popolo: ma occorre mantenere viva la coscienza che nessuno è capace di manifestare pienamente la fedeltà di Dio, il quale è fedele anche se il suo popolo è sempre infedele. Questo messaggio esigente noi cristiani dovremmo comunicarlo mettendoci in ginocchio e dicendo umilmente che è una parola del Signore, non nostra, una parola che annunciamo senza presunzione né arroganza, sapendo che vivere il matrimonio nella fedeltà e nell’amore rinnovato è un’opera ardua, difficile, faticosa, impossibile senza l’aiuto della grazia di Dio, e in ogni caso mai vissuta pienamente, ma sempre contraddetta da miserie, debolezze e da quell’egoismo che ci abita fino alla morte.