Pubblicato su: VITA PASTORALE - Agosto 2015
di ENZO BIANCHI
Nell'aprire il secondo capitolo della sua enciclica, dedicato al Vangelo della creazione, papa Francesco si interroga apertamente sull'opportunità di quelle pagine: “Perché inserire in questo documento, rivolto a tutte le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede?” (LS 62) e risponde confermando la convinzione che lo ha portato a redigere un'enciclica – cioè un documento del magistero della chiesa cattolica – indirizzandola però a tutti coloro che si mostrano disponibili ad accoglierla e a collaborare per il bene comune: “la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe” (ivi). Ora, nell'articolato dialogo tra l'etica cristiana, la ricerca scientifica, le responsabilità politiche, la preoccupazione per la sorte del pianeta e la sollecitudine per la “cura della casa comune”, diviene fondamentale che il papa dia voce alle motivazioni del pensare e dell'agire dei cristiani più propriamente legate alla loro fede e agli insegnamenti che provengono dalla parola di Dio contenuta nelle Scritture.
I paragrafi 62-100 dell'enciclica hanno quindi un duplice scopo: indicare ai fedeli cattolici la comprensione attuale della tematica ecologica che la chiesa ha maturato e approfondito ed esplicitare per i non cattolici e i non cristiani i fondamenti biblici, teologici e spirituali che animano i cattolici nel loro impegno per salvaguardare il creato ed edificare un mondo più giusto e fraterno. Papa Francesco riassume iconicamente questo scopo nel titolo attribuito ai paragrafi introduttivi (63-64): “La luce che la fede offre”. Sì, la fede offre una luce particolare a chi voglia leggere e interpretare il creato e le sfide oggi poste all'umanità.
In questo secondo capitolo dell'enciclica si nota un accrescimento del magistero teologico sul tema dell’ecologia, attraverso la riflessione sulle sante Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento: In particolare papa Francesco ripercorre i racconti biblici della creazione sia attraverso le pagine fondative del libro della Genesi e la loro ripresa poetica e orante nel libro dei Salmi, sia alla luce degli ammonimenti dei profeti. Il tutto sfocia in un’autentica visione dossologica del rapporto tra Gesù, il Figlio di Dio fattosi uomo, e la terra che ha abitato come uno di noi. Lo sguardo di Gesù rinnova lo sguardo del Dio creatore che vide “bella e buona” (tob) la creazione, uno sguardo che non è mai venuto meno. La vita di Gesù è stata vita piena in mezzo agli uomini e alle donne della Palestina del suo tempo, una vita bella perché in sintonia con la creazione, buona perché tesa all’amore e alla cura verso tutte le creature, beata perché capace di leggere la trasfigurazione che attende questa terra e questo cielo per divenire terra nuova e cielo nuovo.
La rilettura che l'enciclica propone del mistero dell'universo chiarisce come la tradizione ebraico-cristiana abbia inteso il rapporto con la natura: da un lato l'ha demitizzata non attribuendole più un carattere divino, d'altro lato l'ha inserita in quel “progetto dell'amore di Dio dove ogni creatura ha un valore e un significato” (LS 76) perché “l'universo non è sorto come risultato di un'onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione: la creazione appartiene all'ordine dell'amore” (LS 77).
Anche in questo capitolo più teologico, tuttavia, papa Francesco conserva quello stile di scrittura e quella varietà di timbri e di citazioni che aveva già caratterizzato l'esortazione Evangelii gaudium. Così, volendo ribadire come l'identità di ciascuno di noi sia legata anche al contesto naturale in cui ha vissuto e vive, egli non solo rammenta che “suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio” (LS 84) ma pare riandare a ricordi ancor più personali e che ciascuno di noi può sentire come propri: “Chi è cresciuto tra i monti, o chi da bambino sedeva accanto al ruscello per bere, o chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando ritorna in quei luoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità” (ivi). D'altronde la “comunione universale” nella quale siamo avvolti non è un marasma fusionale, ma un tessuto di relazioni, memorie, storie, passioni e solidarietà che abbracciano non solo gli esseri umani ma la creazione intera: “Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall'amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra” (LS 92).
Nei paragrafi conclusivi del secondo capitolo – autentico fondamento teologico di tutta l’enciclica – papa Francesco, dopo aver riaffermato ancora una volta la tanto disattesa “destinazione comune dei beni”, ritorna allo “sguardo di Gesù”, al suo modo di collocarsi in armonia con la creazione, con quello stile di vita così “distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e la realtà di questo mondo”. E qui Francesco riconosce con parresia che non sempre la chiesa ha saputo mantenere questo sguardo solidale e misericordioso di Gesù verso la creazione: “questi dualismi malsani hanno avuto un notevole influsso su alcuni pensatori cristiani nel corso della storia e hanno deformato il Vangelo” (LS 98). Per questo papa Francesco riconduce costantemente la sua riflessione alle radici bibliche e al dettato evangelico, presentando la creazione come opera trinitaria, ossia come opera di Dio compiuta attraverso il Figlio e nella potenza dello Spirito santo. Sapienza, architetto (amon: Pr 8,30) della creazione è il Figlio di Dio attraverso il quale tutto è stato chiamato all’esistenza: “in virtù di lui esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui” (1Cor 8,6). Il Figlio è il “primogenito di ogni creatura” (Col 1,15), è colui attraverso il quale tutto fu fatto (cf. Gv 1,3; Col 1,16-17). Il Figlio è il mediatore di tutta l’opera creazionale, è il fondamento dell’esistenza dell’intero creato.
Sì, la creazione è stata fatta dal Padre “per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16), il Figlio; “tutto ciò che esiste in lui è diventato vita” (Gv 1,3-4), ed è lui “l’erede di tutte le cose create” (Eb 1,2), perché tutte le creature saranno in lui reintestate, ricapitolate (cf. Ef 1,10), affinché “Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28). L’universo dunque non è solo opera di Dio, sua creazione, come rivela l’Antico Testamento: esso è abitato dalla presenza di Dio, è destinato alla salvezza e alla gloria, è chiamato alla nuzialità con Dio tramite il Figlio che, fattosi uomo, fa abitare nella carne umana creata la pienezza della vita divina. Solo in questa “sovraconoscenza” (vera epígnosis: Ef 1,17; 4,13; Fil 1,9) della realtà della creazione in Cristo, per Cristo e in vista di Cristo è possibile comprendere la nostra vocazione e la vocazione di tutto il cosmo che attende redenzione e trasfigurazione.
Questi due paragrafi offrono una lettura che può apparire poco familiare agli stessi credenti, ma sono decisivi per comprendere un dato fondamentale della fede cristiana: il Padre tramite Cristo è legato fin dalla creazione in modo indissolubile con questa terra e con l’umanità di cui il Figlio è il primogenito. Come ben raffigurato su una colonna della cattedrale di Chartres, il volto del Figlio Gesù Cristo sta in prospettiva con il volto di Adamo creato a sua immagine: con sapienza e discernimento i padri medievali dicevano che Dio nel plasmare Adamo guardava al modello del Figlio unigenito, il primo nostro fratello, l’Adamo venuto sulla terra ma precedente il primo Adamo.
Lasciamo allora che lo sguardo di Gesù divenga il nostro sguardo sulla creazione. Ci accorgeremo stupiti che “gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Gesù contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa” (LS 100). A noi non resta che lasciarla risplendere al cuore delle nostre vite e attorno a noi.