Pubblicato su: Jesus - Settembre 2013
di ENZO BIANCHI
Comunione e Concilio
Si rispetti l’uso della “forma straordinaria del rito” romano, si comprendano quei cattolici che vi fanno ricorso per vivere la propria fede come l’abbiamo vissuta noi
COMUNIONE E CONCILIO
Mi pare doveroso rompere il silenzio che ha accolto la dichiarazione di mons. Fellay, superiore della Fraternità san Pio X, nel ricordare il 25° dell’ordinazione di quattro vescovi, compiuta da mons. Lefebvre senza l’autorizzazione papale. Il prelato parla di “gesto eroico” e ribadisce che “la causa dei gravi errori che stanno demolendo la chiesa non risiede in una cattiva interpretazione del concilio – in un’ermeneutica della rottura che si opporrebbe a un’ermeneutica della riforma nella continuità, come più volte ha dichiarato Benedetto XVI – ma nei testi stessi del concilio”. È il concilio che viene dunque rifiutato e condannato in quanto imbevuto di principi modernisti, di spirito liberale e di un’ecclesiologia che costituisce una rottura e un misconoscimento della tradizione cattolica. La rottura della comunione con la sede apostolica petrina è quindi netta ed evidente.
Va detto che le posizioni teologiche della Fraternità San Pio X sono ribadite con chiarezza: il vescovo dichiara autorevolmente che i dialoghi tra le due parti, perseguiti per anni, hanno lasciato le posizioni come all’inizio della rottura. Così si è giunti a una situazione singolare e inedita nella storia della chiesa: una piccola porzione di chiesa si trova in rottura dichiarata con la chiesa e il suo magistero, ma i vescovi che la presiedono non sono più scomunicati – avendo Benedetto XVI tolto loro la scomunica – ma non sono neanche in comunione gerarchica con il papa.
Penso che papa Francesco non rinnoverà loro la scomunica e lascerà la Fraternità in questa posizione giuridicamente ambigua, salvo nuove ordinazioni episcopali illecite: in tal caso gli autori incorrerebbero automaticamente nella scomunica. Meglio attendere che maturino tempi nei quali sarà possibile un ritorno alla comunione, attraverso l’accettazione del concilio Vaticano II come concilio della chiesa cattolica avente la stessa autorità di tutti altri concili generali. Anche in questa situazione dolorosa e difficile è cosa buona che il papa, e tutta la chiesa con lui, attendano con pazienza, senza polemica e senza opposizioni o disprezzo chi si è allontanato dall’ovile. Di questa stagione di tentativi per ritrovare la pace ecclesiale e la comunione ricorderemo comunque la lettera che mons. Augustin Di Noia, segretario di Ecclesia Dei, ha scritto a mons. Fellay: una lettera di otto cartelle che traccia una strada per la riconciliazione contrassegnata da carità e attesa: mai, nell’arbitrato con le parti in polemica o rottura con la chiesa, è stato scritto un testo così magnanimo e nello stesso tempo equilibrato, sapiente e ispirato al vangelo.
Certamente sarebbe auspicabile che quei cattolici che sono nell’unità della chiesa ma amano la liturgia precedente alla riforma del Vaticano II non si sentano ispirati dall’ecclesiologia della Fraternità di san Pio X e non finiscano per tenere una posizione formalmente di comunione ma in profondità uguale a quella dei lefebvriani. Una cosa infatti è l’amore per la messa precedente, altra cosa un’ecclesiologia che rifiuta il concilio Vaticano II.
In realtà è questo un problema urgente nella chiesa cattolica: gli atteggiamenti di persone che dicono di vivere la comunione, ma che in realtà lavorano contro di essa e la contraddicono con molti comportamenti. Se Benedetto XVI ha promulgato il motu proprio le celebrazioni nel rito precedente la riforma liturgica, alcuni di quelli che beneficiano di questa magnanimità ne hanno finora approfittato, facendo delle loro celebrazioni una bandiera innalzata in una lotta contro gli stessi fratelli cattolici che hanno accolto nell’obbedienza la riforma conciliare. Non era secondo l’intenzione di Benedetto XVI che chierici vaganti o eminenti ecclesiastici pellegrinassero qua e là, nelle diverse chiese particolari, per celebrare secondo il rito di Pio V non a beneficio di comunità che lo vivono legittimamente, bensì per persone mosse da curiosità o da nostalgie soggettive, in occasioni di manifestazioni folkloristiche o per gruppi che vogliono semplicemente rivivere usi antichi. Questi sono autentici abusi liturgici gravissimi perché significano non semplice contraddizione a una rubrica, ma misconoscimento del mistero grande e terribile dell’eucaristia nel quale la chiesa vive ed è edificata nella comunione trinitaria.
E che dire di alcuni vescovi che vanno ad “assistere” a tali celebrazioni presiedute da questi chierici vaganti che appaiono “specializzati nella celebrazione del rito di san Pio V”? Proprio chi è legato alla tradizione non dovrebbe tollerare queste celebrazioni che non sono adeguate alla suprema dignità della messa. Si rispetti l’uso della “forma straordinaria del rito” romano, si comprendano quei cattolici che vi fanno ricorso per vivere la propria fede come l’abbiamo vissuta noi stessi prima della riforma liturgica, ma si chieda che nessuno faccia proselitismo per il vetus ordo, che nessuno lo opponga al rito ordinario voluto da Paolo VI e che l’eucaristia sia celebrata unicamente per edificare la chiesa nella comunione e per animare comunità che predicano con amore e rispetto il messaggio evangelico.