Pubblicato su: JESUS - 2 luglio 2013
di ENZO BIANCHI
Nell’ora del concilio tra i cristiani erano vive un’attenzione e un’esigenza: un’attenzione ai poveri e un’esigenza di povertà nella chiesa
Ritornano i poveri
Nell’ora del concilio tra i cristiani erano vive un’attenzione e un’esigenza: un’attenzione ai poveri e un’esigenza di povertà nella chiesa. Da sempre la chiesa ha sentito che nel messaggio del Vangelo i poveri occupano un posto privilegiato, che sono i primi clienti di diritto della buona notizia, che nell’atteggiamento verso di loro, bisognosi e ultimi, si decide la partecipazione al regno di Dio o la via mortifera che non conosce la vera vita. Ma in quell’ora si comprendeva in modo più approfondito che la chiesa doveva essere povera. “Per una chiesa serva e povera”, era il titolo di un libro di Yves Congar, uno dei grandi ispiratori del concilio, e la ricezione di questo messaggio fu tale che si costituì addirittura un gruppo di vescovi impegnato in una povertà personale e in uno stile povero della pastorale loro affidata.
Era l’ora dell’emergenza dei poveri nel sud del mondo, l’ora della scoperta delle giovani chiese uscite dal colonialismo e alle quali andava un’attenzione non solo missionaria, ma anche verso le loro condizioni di vita e il loro possibile sviluppo. Una chiesa povera e composta di cristiani poveri, a immagine di “Gesù” che “da ricco che era si è fatto povero” (2Cor 8,9) per essere solidale in tutto con noi uomini bisognosi di salvezza e di liberazione. Quante volte abbiamo allora sentito risuonare il testo delle beatitudini nelle comunità cristiane, quante volte erano citati i padri della chiesa – Basilio di Cesarea, Giovanni Crisostomo, Ambrogio di Milano, Gregorio Magno – per le loro parole sui poveri, sulla necessità di condividere i beni e le risorse!
Vi era un acceso dibattito sul tema della povertà e dei poveri in moltissime comunità. E non si può dimenticare che alcuni pastori diedero alle loro comunità cristiane dei testi di alta qualità teologica, testi profetici che ricevettero l’attenzione e l’approvazione di Paolo VI, anch’egli molto sensibile al tema della povertà nel mondo. A Roma l’abate di San Paolo fuori le mura Giovanni Battista Franzoni con “La terra è Dio”, a Torino il cardinale Michele Pellegrino con “Camminare insieme”, solo per citare due testi che per i cristiani in Italia furono ispiratori di molte scelte personali e comunitarie. Così nella chiesa si elaborò la dottrina dell’“opzione preferenziale per i poveri”, dove opzione stava per dovere morale, e questo sembrò diventare nella chiesa universale un principio fondamentale della dottrina sociale della chiesa.
In seguito, dobbiamo riconoscerlo, soprattutto il tema della chiesa povera sembrò sparire dall’orizzonte ecclesiale, tanto che vi fu chi scrisse: “Non voglio una chiesa povera ma una chiesa più ricca, in modo che possa fare maggiormente del bene ai poveri!”. Terribile fraintendimento del Vangelo, ma sempre possibile anche da parte di chi nella chiesa dovrebbe essere tra i primi suoi interpreti… E pensare che il concilio era giunto ad affermare: “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza” (Lumen gentium 8); e ancora: “La chiesa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi, essa rinuncerà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza” (Gaudium et spes 76). C’è stato un lungo silenzio sul tema della chiesa povera e per i poveri. Occorre riconoscere la verità: nelle nostre chiese (non in quelle del sud del mondo) il tema non risultava più interessante. Mi si permetta di testimoniare che quando, soprattutto dal 1990, proponevo per una conferenza il tema biblico dei poveri o della povertà, immancabilmente mi veniva opposto un rifiuto, dicendo che non era un tema attuale e comunitariamente sentito.
Ed ecco l’avvento di papa Francesco (il cui nome ricorda a tutti il Poverello e la santa povertà), che fin dall’inizio del suo ministero ha proclamato: “Ah, come vorrei una chiesa povera e per i poveri!” (Udienza ai rappresentanti dei media, 16 marzo). E da quel momento ogni volta che ne ha l’occasione Francesco insiste sui poveri, fino ad affermare, recentemente: “Il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero!” (Udienza generale del 5 giugno) e ancora “Prima di tutto, occorre andare ai poveri ... il primo passo è sempre la priorità verso i poveri” (Convegno della diocesi di Roma, 17 giugno). Questo ritorno del tema dei poveri e della povertà è una grande speranza per la chiesa e per gli uomini, perché – come sosteneva Marie-Dominique Chenu – il grido dei poveri del mondo e la capacità della chiesa di ascoltarlo è uno dei grandi segni del nostro tempo.
È il Vangelo che ritorna. Lo abbiamo scritto e riscritto più volte: la brace sotto la cenere è fuoco, basta che qualcuno con un piccolo ramo muova la cenere, ed ecco che il fuoco arde nuovamente. Il Vangelo è questo fuoco sovente coperto dalla cenere della chiesa e dei cristiani, ma se qualcuno rimuove la cenere, il Vangelo torna nuovamente a brillare. Noi ne siamo felici, e per questo ringraziamo papa Francesco: una chiesa povera e per i poveri è la chiesa di Gesù, è una chiesa sempre composta da peccatori, ma capace di portare la buona notizia ai poveri come Gesù stesso ha fatto (cf. Lc 4,18).