Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Benedetto XVI sul crinale del monte Nebo

10/05/2009 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2009,

Benedetto XVI sul crinale del monte Nebo

La Stampa

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10 maggio 2009

di ENZO BIANCHI

Dal monte Nebo alla moschea di Amman, viene dal papa un invito a non lasciare che le menti si restringano

 

La Stampa, 10 maggio 2009

 

Sul monte Nebo – là dove “Mosè, servo del Signore, morì sulla bocca del Signore” dopo aver contemplato la terra tanto attesa e aver sperimentato al contempo l’impossibilità a procedere oltre – è simbolicamente iniziato il pellegrinaggio di papa Benedetto XVI in Terrasanta. Un monte che è crinale tra la possibilità di intravedere ciò che si spera e la consapevolezza che saranno altri a godere del futuro per il quale tanto si è lavorato. Un crinale rivelatosi tale per Mosè, ma emblematico per ogni generazione: a ciascuno nella propria vita è dato di giungere a un punto in cui coglie l’aprirsi di un nuovo futuro – promesso, atteso, ricercato, invocato, progettato – e constata che questo orizzonte è più grande, è “oltre” il cammino che ogni uomo può compiere. “Sappiamo – ha sottolineato il papa – che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore e a salutare l’alba del suo Regno”.

 

In questa ottica il papa ha voluto collocare il suo viaggio su tre livelli, in stretta connessione tra loro e con la ricerca della pace: tre dimensioni che non coincidono con le tre religioni professate in quei luoghi, ma che in esse trovano radici e si intersecano. La dimensione della preghiera, innanzitutto, con la sua capacità di incidere sulla storia, di provocare ciò che invoca e, quindi, di affrettare e illuminare il cammino verso la giustizia e la pace. Poi il fare appello alla coscienza, il saper educare, “condurre fuori” il meglio che ciascuno essere umano ha dentro di sé, così da favorire la ricerca della verità e l’edificazione della comunità umana. La terza dimensione consiste infine nel “parlare alla ragione” e nel favorire così il discernimento di ciò che è bene per sé e per gli altri, condizione indispensabile per costruire la pace.

 

Ma se questi sono gli assi portanti del viaggio di Benedetto XVI in Giordania e Israele, il discorso tenuto ieri all’uscita della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, era atteso da molti come un passo ulteriore nella comprensione reciproca dopo il discorso all’università di Regensburg. In realtà l’intera storia del rapporto tra cristiani e musulmani è stata “spesso segnata da incomprensioni”, ma anche i casi più recenti hanno mostrato come sia possibile uscirne se si è “memori della comune origine e dignità di ogni persona umana”. Ed è questo esercizio di memoria sapiente che ha generato l’approfondimento della discussione con il documento “Una parola comune”, riflessione di autorevoli esponenti del mondo musulmano sul tema nodale dell’amore di Dio e del prossimo, e le successive occasioni di confronto franco e cordiale rinnovate da Benedetto XVI a mostrare come per lui e per la chiesa cattolica sia decisivo il dialogo interreligioso e la ricerca di cammini condivisi di umanizzazione. Così il papa ad Amman ha potuto riprendere i due poli del dibattito con l’islam: da un lato l’incompatibilità tra religione autentica e violenza – “la religione viene sfigurata quando è costretta a servire il disprezzo, la violenza e l’abuso” – e, d’altro lato, la ragionevolezza dell’aderire a una religione rivelata che “protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello”. Quando invece, in contrasto con la sua autentica essenza, la religione viene “costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio”, allora essa si rivela “corrotta” e incapace di rendere la testimonianza che tutti gli esseri umani sono in diritto di attendersi dai credenti. Sì, il richiamo alla ragione umana, mai in contrasto con la fede ma capace di salvaguardare la religione da eccessi e fanatismi, è un punto fermo del magistero di questo papa.

 

Così, dal monte Nebo alla moschea di Amman, viene dal papa un invito a non lasciare che le menti si restringano in una visione angusta di se stessi e del rapporto con gli altri: l’approfondimento della propria fede e l’ascolto delle convinzioni sincere dell’altro non possono che ampliare “gli orizzonti della comprensione umana”. Se poi a questo futuro promesso di pace e di giustizia sia concesso di accedere anche a noi o se invece, come Mosè, dobbiamo accontentarci di contemplarlo da lontano, resterà comunque nel cuore del credente la consapevolezza non solo di averlo intravisto, ma anche di aver condotto i propri passi e aver aiutato quelli degli altri fino al crinale di un presente aperto su un futuro di speranza. Su quelle terre così segnate da violenze e ostilità, Benedetto XVI appare come un pellegrino saldo non solo nella fede ma anche nella speranza, come chi vede l’invisibile.

 

Enzo Bianchi

 

Pubblicato su: La Stampa