Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Nessuna salvezza al di fuori di Gesù

03/05/2009 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2009,

Nessuna salvezza al di fuori di Gesù

La Stampa

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3 maggio 2009

Risposta a VITO MANCUSO

di ENZO BIANCHI

Il senso cristiano della parola “salvezza” è sempre più sconosciuto

Risposta a VITO MANCUSO

 

La Stampa, 3 maggio 2009

 

Il senso cristiano della parola “salvezza” è sempre più sconosciuto, eppure la domanda di salvezza – anche se espressa con termini diversi – risuona con forza perché oggi più che mai emerge il desiderio di ogni uomo e di ogni donna. Essere liberi dalle alienazioni che contraddicono la condizione umana, redenti dalla morte e dalla sofferenza nelle sue molteplici forme, liberati dalle schiavitù che opprimono il corpo e la psiche e impediscono all’uomo di essere ciò che vorrebbe, salvati dal male che si può fare o ricevere: tutto questo significa trovare salvezza, salvarsi, essere salvati.

 

Tutti gli esseri umani sono abitati da una domanda di salvezza che talora si manifesta come grido disperato, talaltra come ricerca perseguita con impegno e determinazione, altre volte ancora sotto la forma di un interrogativo inespresso, una non-domanda. L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani coinvolge in questa domanda di salvezza il cosmo intero: “la creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio ... e nutre la speranza di essere pure lei liberata dalla schiavitù della corruzione... Tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,19-23). La salvezza cristiana ha allora una portata cosmica: vi è una speranza di salvezza, una trasfigurazione avvertita come necessaria dal cosmo intero. Così, quando l’uomo chiede salvezza, si fa voce anche di tutte le creature, animate e inanimate.

 

A questo dolore cosmico non può che corrispondere una salvezza cosmica, salvezza che appare soprattutto come liberazione dalla morte, come nuova creazione dove “non ci sarà più la morte, né il lutto, né il lamento perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21,4). Con una certa audacia si potrebbe affermare anche che ogni essere umano, in virtù di un dinamismo che precede il suo volere e il suo sentire, è attirato verso la salvezza insieme a tutta la creazione. Salvezza che, per essere autentica, deve declinarsi come liberazione dalla morte: così nella loro attesa di salvezza i cristiani sono chiamati a sperare per tutti nella venuta definitiva del Signore che apporterà alla storia il suo compimento.

 

Ora, nella fede cristiana questa salvezza è azione di Dio nella storia, dall’in-principio fino a quando la storia stessa troverà il suo compimento. Per i cristiani, quindi, c’è una storia di salvezza grazie a un’azione di Dio – acclamato già da Israele come Goel, “Redentore”, nell’uscita dall’Egitto – che ha il suo culmine nell’incarnazione, nell’umanizzazione di suo Figlio. Il Dio dei cristiani è il Dio che salva, che si prende cura del sofferente; è il compassionevole che accorre dove c’è la vittima, le si fa vicino e non l’abbandona neanche al di là della morte. È quanto ha fatto Gesù – il cui nome significa “il Signore salva” – con le persone che incontrava: è passato tra gli uomini salvando le vite, come ci testimoniano i vangeli con la loro narrazione di storie personali e di relazioni con Gesù. E avendo vissuto l’amore fino all’estremo e senza contraddizioni, Gesù quale Figlio è stato risuscitato dal Padre in modo che l’amore di Dio, l’amore che è Dio vincesse la morte. L’evento dell’alba pasquale sigilla la presenza della salvezza autentica: Gesù risorto ha trionfato sulla morte ed è veramente il Kyrios, il Signore della chiesa e del cosmo.


Questa è la fede cristiana e la declinazione della salvezza cristiana, oggi non capita neppure da molti cristiani che non osano credere nella risurrezione di Gesù, nella vittoria dell’amore sulla morte e sovente preferiscono pensare alla salvezza come realizzazione di sé, guarigione, felicità da acquisire nell’istante che passa, speranza terapeutica di tutti gli aspetti della realizzazione di sé. Così l’attesa della salvezza si è fatta individualistica: ciascuno si limita a sperare per sé, per la realizzazione dei propri interessi, identificando la salvezza con una promessa personale di vita senza gli altri o persino contro gli altri, qualora diventino ostacolo nel perseguimento del proprio obiettivo.

 

Questa deriva dell’idea di salvezza va denunciata con chiarezza senza pertanto misconoscere le molteplici ferite che affliggono l’esistenza quotidiana, le sofferenze nascoste sotto la superficie patinata di una società costantemente intenta a darsi un’immagine luccicante di illusioni. Ecco perché la storia della salvezza va coniugata con la salvezza delle storie: già qui e ora si può sperimentare la salvezza come arte del vivere quotidiano, una salvezza sì personale, ma anche solidale con gli altri e con il cosmo. È quanto ha testimoniato l’esistenza terrena di Gesù, il suo percorso di ricerca del senso della vita, della liberazione dalla morte.

 

La fede cristiana pensa dunque che la salvezza è opera di Dio, che l’uomo non si salva da se stesso, che questa salvezza ha avuto la sua pienezza in Gesù Cristo, l’unico salvatore del mondo, al quale competerà l’atto finale della storia, il “giudizio” che mostrerà come la salvezza è stata offerta a tutti ed è da tutti perseguibile, ma rivelerà anche chi potrà parteciparvi, in base alle scelte operate durante la propria vita, scelte secondo l’amore, che portano alla via della vita, o scelte contro l’amore, che conducono sulla via della morte e del nulla. Purtroppo oggi nella chiesa questa predicazione sul giudizio escatologico è carente rischiando così non solo di dimenticare l’orizzonte della storia e le realtà ultime, ma anche di smarrire la comprensione della vera e definitiva salvezza. Un filosofo ateo come Adorno ha osato pensare la liberazione per tutti e non a caso ha concluso che questa potrebbe esserci se ci fosse un giudizio finale, una risurrezione dei morti che introducesse le vittime della storia in una condizione di salvezza e di restituzione all’integrità. Questa per i cristiani è una convinzione essenziale della fede: se infatti Cristo non è risorto, se non ci sarà giudizio finale, vana è la nostra fede e noi cristiani siamo da compiangere come i più miserabili (cf. Prima Lettera ai Corinti 15, 17-19).

 

A questa concezione cristiana si opposero ben presto altre letture della salvezza o altre salvezze, come quella dichiarata dalle “gnosi”, dove la salvezza consiste in una presa di coscienza da parte dell’uomo di se stesso e della sua identità divina originale avente in sé, senza Dio, una capacità di redenzione. Oggi, sulla scia delle gnosi, attraversano la nostra cultura molte concezioni di salvezza che negano o attenuano l’azione di salvezza del Dio vivente nella storia: poco attente alla “storia di Gesù di Nazareth”, sono portate a relegare l’evento della croce e della risurrezione di Gesù a semplice eloquenza dell’amore. Se la vicenda della rivelazione di Dio da Abramo a Mosè fino a Gesù è ridotta a una storia particolare, che riguarda un tempo e un popolo particolare, la si coglie come vicenda incapace di portata universale, come invece l’ha sempre letta la tradizione cristiana.

 

È per questo che, senza voler giudicare eretico Vito Mancuso né tanto meno volerlo condannare, ho letto i suoi due ultimi libri come appartenenti alla galassia di una gnosi oggi risuscitata. La fede cristiana, e non solo quella cattolica, è invece convinta che Gesù di Nazareth è stato ed è “l’immagine del Dio invisibile”, “l’esegesi del Padre”, il Figlio di Dio fattosi uomo, il giusto condannato e crocifisso perché in un mondo ingiusto questa è la fine che spetta al giusto. Sì, Gesù ha vissuto l’amore e la giustizia fino all’estremo e ci ha insegnato a vivere così quale vero uomo, l’uomo come Dio lo ha pensato nel crearlo. Con la risurrezione Dio ha mostrato che l’amore vissuto dall’uomo Gesù vince la morte e che dunque la salvezza è data a tutti quelli che si conformano a lui. Ecco perché, se nel mondo non ci fosse la chiesa, verrebbe meno il segno e lo strumento del piano di Dio di riunire tutti gli uomini nell’unico corpo di Cristo, così che “l’uomo diventi Dio”, secondo l’adagio dei padri orientali. Ma a questa salvezza possono partecipare tutti gli uomini di tutte le epoche e di tutte le culture quando, percorrendo vie di umanizzazione, si rendono conformi a Dio. È quanto ha rivelato Gesù nel discorso sul giudizio universale nel Vangelo secondo Matteo.

 

L’evento della morte-risurrezione di Gesù per i cristiani è l’unico evento di salvezza, un evento di portata universale: “Cristo è morto per tutti – ricorda il concilio – e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (Gaudium et spes 22). Tutti gli esseri umani, non solo i cristiani, non solo quelli che sono nella chiesa, ma anche quelli “extra ecclesia” possono essere salvati da Cristo e la salvezza ha destinazione cosmica. Questa visione della storia di salvezza non si nutre di “miserabili artifizi, né di salti logici clamorosi”, ma nasce dalla visione consegnataci dall’Antico e dal Nuovo Testamento in cui un popolo marginale, Israele, un ebreo marginale, Gesù, una comunità marginale come la chiesa non sono una delle storie possibili, ma la storia scelta da Dio per fare alleanza con tutta l’umanità, perché il suo Nome possa regnare come speranza di salvezza per tutti quelli che nella libertà e per amore aderiscono alla buona notizia o all’immagine di Dio impressa per sempre da Dio stesso in ogni uomo fin dalla creazione.

 

La storia del popolo di Dio, la vicenda terrena di Gesù è particolare, ma con la sua morte e risurrezione Gesù è anche morto all’appartenenza ristretta a un gruppo particolare, per rinascere all’universalità, a una presenza diffusa ovunque dal suo Spirito santo. La salvezza passa sì attraverso una storia particolare, ma è destinata e si estende universalmente.

 

Enzo Bianchi

 

Pubblicato su: La Stampa