Pubblicato su: Famiglia cristiana - 3 marzo 2013
di ENZO BIANCHI
L’aspetto della disciplina del tempo non è dunque marginale, ma è centrale per la preghiera. Occorre darsi dei tempi prefissati e restarvi fedeli, in modo da pregare non solo quando se ne ha voglia; no, la preghiera è la fatica di ogni giorno, è il cibo quotidiano per la vita nello Spirito
Quali momenti sono più indicati per la preghiera?
Tutti i momenti sono indicati per la preghiera, ma la chiesa propone ai fedeli ritmi destinati ad alimentare la preghiera continua: preghiere del mattino e della sera, prima e dopo i pasti; liturgia delle Ore; Eucaristia domenicale; santo Rosario; feste dell’anno liturgico.
(Compendio del Catechismo n. 567)
In altri articoli ci siamo soffermati su alcune delle forme di preghiera evocate dal Compendio. Qui potremmo sostare sull’anno liturgico, che configura non un tempo ciclico, ma aperto all’unico evento che noi cristiani dovremmo attendere con perseveranza: la venuta gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Con questa consapevolezza di fondo, l’aderire con convinzione ai ritmi dell’anno liturgico ci porta a contemplare i misteri della vita di Gesù Cristo; o meglio, il mistero di tutta la vita di Cristo, reso presente dalla liturgia.
Qui però vorrei sostare su una questione che sta alla radice del rapporto tra preghiera e tempo. Mi riferisco all’affermazione che spesso affiora anche sulle nostre labbra: “Non ho tempo per pregare”. Certo, va detto che la vita odierna è segnata da ritmi lavorativi frenetici e da molteplici impegni, che non sono più quelli dell’antico tempo biblico o anche solo di alcune generazioni precedenti alla nostra. E tuttavia occorre denunciare che la mancanza di tempo è quasi sempre un alibi: è risaputo, infatti, che noi uomini troviamo sempre il tempo per ciò che ci sta a cuore… Va detto chiaramente: chi afferma di non avere tempo per pregare confessa in realtà di essere un idolatra. Non è lui infatti a determinare il proprio tempo, ma è il tempo a dominare su di lui.
Non a caso, ordinare il tempo è il comando primario nella fede ebraico-cristiana: riservare del tempo per Dio, “santificare” il tempo, cioè distinguere dei tempi “altri” rispetto a quelli destinati al lavoro è il significato delle feste, dei ritmi della preghiera. Un sacrificio interamente consumato per Dio e possibile a tutti è proprio l’offerta a Dio del tempo, il bene più prezioso posseduto dall’uomo. Di più, santificare parte del proprio tempo e destinarlo alla preghiera è già in qualche modo accettare di morire, di perdere un po’ della propria vita per il Signore: forse dare del tempo a Dio è così difficile perché significa fare i conti con la propria morte… D’altronde, chi dice di credere alla vita eterna, come fa a sperimentare questa sua fede se non consacra del tempo per entrare in comunione con Dio qui e ora?
L’aspetto della disciplina del tempo non è dunque marginale, ma è centrale per la preghiera. Occorre darsi dei tempi prefissati e restarvi fedeli, in modo da pregare non solo quando se ne ha voglia; no, la preghiera è la fatica di ogni giorno, è il cibo quotidiano per la vita nello Spirito. Ha scritto Matta el Meskin, un grande padre spirituale del monachesimo egiziano del XX secolo: “Non devi rattristarti per la scarsità del tempo disponibile per appartarti nella camera; devi piuttosto assicurarti di essere pronto e pieno di desiderio di comunicare con Dio: allora ti accorgerai che i minuti possono essere come giorni”.