Pubblicato: JESUS - Novembre 2012
di ENZO BIANCHI
Come cristiani siamo chiamati a uno sguardo “altro”: basterebbe ci rifacessimo di più allo sguardo di Gesù, sempre dolce e mite, sollecito e misericordioso davanti alla folla di uomini “quotidiani”
Oggi noi cristiani, consapevoli di essere diventati una minoranza nella società occidentale o di rappresentare solo un’istanza culturale e antropologica periferica, siamo colti da timori, forse anche da paure; di conseguenza siamo tentati non solo di assumere posizioni difensive e di asserragliarci in nome di un’identità ostentata come una bandiera, ma anche di finire per giudicare in modo negativo la società e il mondo – cioè gli uomini e le donne non cristiani in mezzo ai quali abitiamo e viviamo – a volte con venature di disprezzo, come se fossero corpi estranei. Così ci si esercita in letture ossessive dei mali e si ripetono litanie in cui gli “ismi” indicanti il male si susseguono: soggettivismo, individualismo, relativismo, nichilismo, libertarismo, consumismo... forse senza neanche la convinzione di essere abilitati a esercitare il ministero di profeti di sventura.
È vero, la società attuale – lo denunciano i sociologi – sembra essere incamminata verso la barbarie, percorre un cammino di disumanizzazione: è una società che tutti dicono “in crisi” etica, sociale, politica, oltre che economica e finanziaria. Eppure, proprio in nome di una speranza non frutto di un facile ottimismo umano, ma originata dalla rivelazione di un Dio che in Gesù Cristo ha mostrato il suo amore folle e infinito per noi uomini e per il nostro mondo, dovremmo cercare di avere uno sguardo conseguente alla nostra fede.
Innanzitutto, l’essere umano è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, posto da Dio come sua icona nel mondo, è stato dotato, attraverso la venuta del Figlio, di forze redentive che operano in lui. Perciò – e la storia ce lo dimostra – l’uomo ha in sé risorse per una crescita, una umanizzazione sempre più attestata: l’uomo è degno di fiducia! E se noi non avessimo fiducia-fede negli uomini, nostri fratelli che vediamo e assieme ai quali siamo corresponsabili di questo mondo, come potremmo mettere fiducia in Dio che non vediamo? Nell’amare l’altro, la prima esperienza che facciamo è aver fiducia in lui. Allora, nello sguardo cristiano, l’umanità percorre un cammino di salvezza, di senso, un cammino sempre più orientato verso la vita piena, la comunione, la pace. Lo Spirito santo è all’opera, agisce oggi, qui tra di noi e in tutti quelli che accolgono la sua dinamica ispiratrice.
Ma come cristiani ci è richiesto anche uno sguardo diverso sulla crisi: la crisi è fisiologica in ogni corpo personale o sociale, non la si può negare. E, quando emerge, occorre abitarla assumendosi responsabilità, facendo scelte, operando giudizi per una sua risoluzione positiva. È necessario davvero un altro sguardo: quando denunciamo il soggettivismo dominante che non permette più principi, vie e confini condivisi, pensiamo anche come questa patologia sia la deriva di un processo che dagli anni sessanta del secolo scorso in poi ha cercato con fatica di affermare il valore della persona, la sua soggettività da esercitarsi nella libertà; quando denunciamo la “liquidità” della nostra società, non dobbiamo cancellare il cammino percorso con le acquisizioni della libertà religiosa, dell’autenticità degli affetti e delle storie d’amore, della maggiore consapevolezza nel “fare strada” con altri... E quando denunciamo la società consumista, cerchiamo di leggere in questa patologia non disgiunta dal traguardo agognato da tante generazioni e finalmente raggiunto: non patire più la fame, non vivere nella penuria.
È vero, l’uomo contemporaneo – e ciascuno di noi è l’uomo contemporaneo – è afflitto da patologie, è contraddistinto da debolezze e da comportamenti mortiferi, ma in questo non è diverso dalle generazioni precedenti: ogni generazione può essere “perversa e adultera”, come i profeti e Gesù hanno dichiarato la loro generazione (cf. Mt 16,4; Lc 9,41), ma chi vi appartiene non può chiamarsene fuori, quella è la sua generazione, lì gli è dato di vivere. Altrimenti, non volendo appartenere alla nostra generazione, finiamo semplicemente per evadere dalla storia e nutrire nostalgie paralizzanti e irrealistiche. Come cristiani siamo chiamati a uno sguardo “altro”: basterebbe ci rifacessimo di più allo sguardo di Gesù, sempre dolce e mite, sollecito e misericordioso davanti alla folla di uomini “quotidiani”, malati, peccatori, sofferenti, esclusi, ingrati, viziosi... Lo sguardo duro, la parola tagliente, Gesù li ha riservati solo per i professionisti della religione, per i potenti di questo mondo, per le “volpi” - come Gesù apostrofò Erode - “scaltre e rapaci”, sempre presenti nella storia. Nessuna paura, dunque, ma fiducia in Dio e nel suo disegno di salvezza: una salvezza per tutti gli esseri umani, per la creazione intera, per la storia tutta.