20 dicembre 2008
di ENZO BIANCHI
Tra il libro e il Natale, inteso nel suo senso forte di memoria della nascita di Gesù di Nazaret, esiste un legame profondo: l’analogia tra la sacra Scrittura e l’incarnazione
La Stampa – Tuttolibri, 20 dicembre 2008
Siamo soliti accostare il libro e il Natale in base a considerazioni un po’ sbrigative e di opportunità, soprattutto quando dicendo “Natale” il pensiero corre subito ai regali. Infatti, quale dono può essere adattato al destinatario con così ampia possibilità di scelta e modica spesa? E dove, meglio che in un libro, trovare le parole per esprimere sentimenti che fatichiamo ad articolare? Tra l’altro, il ricorrere a frasi, situazioni o racconti narrati da un altro, lo scrittore, assicura al donatore una scappatoia qualora un’opinione o un’espressione dovessero risultare sgradite al ricevente.
In realtà, tra il libro e il Natale, inteso nel suo senso forte di memoria della nascita di Gesù di Nazaret, esiste un legame ben più profondo: l’analogia tra la sacra Scrittura e l’incarnazione. La lettura “credente” della Bibbia – il cui nome stesso rimanda al suo essere composta da diversi “libri” – la confessa come corpo di Cristo: “Il suo corpo è la trasmissione ininterrotta delle Scritture”, scriveva con efficace sintesi Ambrogio di Milano. Così il corpo scritturistico è considerato dai cristiani, in analogia con il corpo fisico di Cristo, come forma di incorporazione del Verbo, il Logos; come c’è stata una discesa della Parola di Dio nella carne di un uomo nato da donna, così c’è un abbassamento di quella medesima Parola in parole umane, in parole scritte in un lingua precisa, fragile come la carne umana. Per questo, come ha ricordato il concilio, “la chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore” presente nel pane e nel vino dell’eucaristia. Possiamo allora capire come nel corso dei secoli le riflessioni e le dispute sull’ispirazione e sulla traduzione possibile o meno della Scrittura non riguardassero dei semplici testi pur venerabili, ma toccassero il cuore stesso della fede cristiana.
Dovremmo ricordarcelo oggi che la Bibbia è diventata l’opera letteraria tradotta nel maggior numero di lingue, ora che tutti possono liberamente accedere all’Antico e al Nuovo Testamento nella propria lingua materna. In questo tempo del Natale, in cui i cristiani celebrano proprio il mistero dell’incarnazione, dovremmo fare memoria di questo profondo intreccio tra venuta nella carne di Gesù – che i cristiani considerano il “Figlio di Dio” – e venuta della Parola nello “sta scritto” di un libro. In questo senso è significativo che proprio a ridosso del tempo dell’Avvento, in cui i credenti rinnovano lìattesa del ritorno del loro Signore, sia uscita in Italia la nuova traduzione della Bibbia, voluta dalla Conferenza episcopale italiana per offrire ai fedeli un testo maggiormente fedele da un lato all’originale ebraico e greco e, dall’altro, al linguaggio degli uomini e delle donne del nostro tempo, linguaggio che, com’è ovvio, muta con lo scorrere del tempo.
Ma ritengo che questa analogia tra Bibbia e nascita di Gesù nella carne possa anche rendere conto di un altro dato normalmente attribuito unicamente a fattori storico-culturali: il considerare la Bibbia come il “grande codice” della nostra società occidentale. Si pensa che lo sia diventato per l’antica, capillare e duratura diffusione del cristianesimo in Europa, per la sua capacità di fornire un linguaggio di parole, gesti, immagini agevolmente intelleggibili, per la diffusione di racconti fondatori e di parabole esemplari e passibili di essere trasposte in mirabili opere d’arte. Tutto ciò è indubbiamente vero, ma credo sia altrettanto vero anche il percorso inverso: la Bibbia ha ricevuto questa accoglienza così universale – che si è estesa anche ben al di là dell’ambito occidentale e mediterraneo in cui è nata e si è diffusa originariamente – proprio perché narra di valori e realtà profondamente umane: lo fa servendosi di una lingua e una cultura particolari, certo, ma giungendo attraverso di esse al cuore dell’esistenza umana in quanto tale. Ci narra infatti dell’amore e dell’odio, della fraternità possibile e dell’inimicizia probabile, della grandezza e della miseria dell’essere umano, del confronto-scontro con la natura, con se stessi e con l’altro, dei conflitti generazionali e degli scontri culturali, della sete di libertà e del fascino del servilismo, della paura della morte e del desiderio di vita piena... Un “codice” divenuto grande non solo perché in tanti lo hanno usato, ma perché da sempre ha affrontato i grandi temi, fornendo chiavi interpretative non solo per “leggerli” ma soprattutto per vivere una vita umana ricca di senso.
Ecco a Natale facciamo memoria anche di questa “umanità” della Scrittura, di questa incarnazione di una parola di vita nelle nostre parole quotidiane. Dallo “sta scritto” di quei libri sgorga con rinnovata freschezza una speranza per tutti: l’essere umano è chiamato alla pienezza della vita, nella gioia e nella comunione.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: La Stampa