5 ottobre 2008
di ENZO BIANCHI
Non dimentichiamo che la Scrittura, autentica “lettera di Dio agli uomini”, è data per essere vissuta e obbedita: vivere la Parola
Avvenire, 5 ottobre 2008
Vorrei raccomandare l’antica tradizione della lectio divina: la lettura assidua della Scrittura santa, accompagnata dalla preghiera, realizza il colloquio intimo con Dio, che noi ascoltiamo quando leggiamo e a cui rispondiamo nella preghiera con un cuore aperto e fiducioso. Questa prassi, se efficacemente promossa, apporterà alla chiesa una nuova primavera spirituale.
Per accogliere questo invito di papa Benedetto XVI, citato anche nello Strumento di lavoro per il prossimo Sinodo dei vescovi su «La Parola di Dio nella vita e nella missione della chiesa» (Roma, 5-26 ottobre 2008), occorre innanzitutto aver chiaro che cosa sia la Scrittura, la Bibbia, quell’insieme di libri che costituiscono «il Libro» per eccellenza.
Da sempre Dio ha alzato il velo su di sé per manifestare la propria volontà ed entrare in alleanza con noi uomini. E si è rivelato attraverso la sua Parola che, accolta dai credenti nel loro cuore, porta frutti di vita piena e di comunione. Ma per rivelarsi compiutamente Dio ci ha fatto il suo dono più grande e definitivo, quello di suo Figlio (cf. Eb 1,1-2), la Parola che nella pienezza dei tempi si è fatta carne, uomo (cf. Gv 1,14). Sì, Gesù Cristo è la Parola di Dio in quanto Figlio capace di compiere una narrazione definitiva del Padre: «Dio nessuno l’ha mai visto, ma il Figlio unigenito lo ha raccontato» (Gv 1,18). La Bibbia dunque, nella sua unità di Antico e Nuovo Testamento, è il documento che testimonia l’evento complessivo della rivelazione; è un segno scritto che, interpretato nella fede e «alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (Dei verbum 12), ci guida a scoprire la Parola che Dio rivolge a ciascuno di noi oggi; ci guida all’incontro con Gesù Cristo, colui che è la chiave ultima per aprire la Scrittura.
In questo cammino si situa l’arte della lectio divina, un metodo di approccio alla Scrittura che mira a fare della lettura della Bibbia l’ascolto di una «Parola viva ed efficace» (Eb 4,12), l’apertura a una presenza e la sua accoglienza obbediente. Questo antico e semplice metodo di pregare la Parola, che affonda le proprie radici già nel giudaismo, ha conosciuto una grande fioritura in epoca patristica e lungo tutto il primo millennio, fino a dare i suoi frutti maturi grazie ai monaci cistercensi e certosini. La lectio divina è stata però progressivamente dimenticata a partire dai secoli XIII-XIV, a causa dell’affermarsi di una lectio scholastica, cioè di una lettura della Bibbia volta a dimostrare determinate posizioni teologiche, e poi offuscata dalla devotio moderna e da una meditazione essenzialmente introspettiva e psicologica. E’ in seguito al concilio Vaticano II che la lectio divina ha conosciuto una vera e propria resurrezione fino a diffondersi nelle parrocchie e nel tessuto della chiesa locale: si pensi solo alla prassi della lectio divina comunitaria promossa da alcuni vescovi italiani, che costituisce ormai una tradizione ben radicata nelle nostre diocesi.
Ma quali sono le «tappe» della lectio divina personale, qual è l’itinerario spirituale che ogni cristiano è chiamato a personalizzare nel proprio oggi? Ci viene in aiuto la formulazione elaborata da un monaco del XII secolo, Guigo II il Certosino: «Un giorno presi a riflettere sull’attività spirituale dell’uomo. Allora improvvisamente quattro gradini spirituali si offersero alla mia riflessione: la lettura (lectio), la meditazione (meditatio), la preghiera (oratio) e la contemplazione (contemplatio). La lettura è un accurato esame delle Scritture che muove da un impegno dello spirito. La meditazione è un’opera della mente che si applica a scavare nella verità più nascosta sotto la guida della propria ragione. La preghiera è un impegno amante del cuore in Dio allo scopo di estirpare il male e conseguire il bene. La contemplazione è un innalzamento al di sopra di sé da parte dell’anima che gusta le gioie della dolcezza eterna».
Ma questo itinerario, non schematico ma interiore, richiede alcune condizioni concrete che lo agevolano, a cominciare da un luogo di solitudine e di silenzio: per cercare e ascoltare Dio «che è nel segreto» (Mt 6,6), per ascoltare veramente la sua Parola, occorre far tacere le parole e i rumori che assordano il nostro cuore, operando una presa di distanza dalle molte presenze che lo abitano. Inoltre, in questo incontro con il Signore è essenziale coinvolgere anche il corpo, perché la lectio non è un’attività meramente intellettuale ma riguarda tutta la persona: la disposizione raccolta, lo stare desti, il chinarsi sulla “sacra pagina” come esortavano i Padri della chiesa.... Anche per questo è bene dedicare alla lectio un tempo fisso nella giornata, cui restare fedeli: solo così si mostra il desiderio di instaurare una relazione seria con colui che è il Signore della nostra vita, non un «tappabuchi» cui si concede qualche ritaglio di tempo o al quale ci si appella solo nel bisogno.
La lectio divina è preceduta dall’epiclesi, cioè l’invocazione allo Spirito santo perché apra gli orecchi del nostro cuore e rischiari la nostra intelligenza. È lo Spirito che ci spinge a uscire da noi stessi e ci dispone all’azione di Dio in noi: non siamo noi i soggetti e gli autori della preghiera, ma è lo Spirito che, effuso nel nostro cuore, lo abilita a gridare: «Abba, Padre!» (cf. Gal 4,6). Senza l’invocazione dello Spirito, la lectio resta un semplice esercizio umano, incapace di introdurre alla relazione con Dio.
A questo punto inizia la lectio vera e propria, cioè la lettura della pagina biblica, una pagina non scelta soggettivamente o a caso, ma accolta in obbedienza al lezionario della chiesa o alla lettura continua di un intero libro biblico, a partire da quelli più semplici e fondamentali al tempo stesso, come il Vangelo di Marco o l’Esodo. Nella consapevolezza di essere in ascolto di Dio che parla, il credente legge il brano più volte ad alta voce e cerca di memorizzarlo per evitare il rischio, specie se il testo è già noto, di una lettura frettolosa, superficiale che ne offusca la ricchezza. In tal senso può essere utile ricopiare il testo o confrontarlo con una diversa traduzione: ciò obbliga a uno sforzo di concentrazione capace di far cogliere aspetti del testo stesso di cui non ci si era mai accorti…
Questa fase è già connessa a quella della meditazione, da intendersi non nel senso di un esercizio introspettivo o di auto-analisi psicologizzante. Non bisogna indulgere a troppi sguardi su di sé ma volgere piuttosto la propria attenzione al Signore, disponendosi ad accogliere la sua Parola: è guardando alla sua luce che veniamo trasfigurati nella sua stessa immagine (cf. 2Cor 3,18)… La meditazione è un lavoro di approfondimento del senso del testo, fatto soprattutto interpretando la Scrittura con la Scrittura, ossia allargando il contenuto del brano letto con l’apporto di altri passi biblici; in questa opera di «scavo» può intervenire l’apporto di commenti spirituali dei Padri della chiesa, nonché di strumenti di studio, come dizionari biblici, concordanze, commentari esegetici... Il fine è quello di far emergere la punta teologica del brano, il suo messaggio centrale, applicandosi totalmente a comprendere il testo e, nel contempo, applicando a sé ciò che il testo rivela. Inizia così il dialogo tra la vita del lettore e il messaggio del testo: mentre si legge la Parola contenuta nelle Scritture è la Parola che legge la nostra vita.
È a questo punto che sorge in noi la preghiera: il credente si rivolge a Dio con il «tu» e risponde alla Parola ascoltata mediante l’intercessione, il ringraziamento, la supplica… Qui nessuno può dare indicazioni precise a un altro, se non l’esortazione alla docilità allo Spirito e alla Parola ascoltata. Può avvenire che la preghiera si manifesti con un silenzio di adorazione o con il gioioso dono delle lacrime di compunzione; ma occorre anche ricordare che a volte il testo resiste ai nostri sforzi di comprensione e la nostra preghiera non sgorga… Quel che è certo è che l’efficacia dell’assiduità alla Parola di Dio si misura sul lungo periodo e richiede perseveranza: se siamo fedeli a questo incontro quotidiano, prima o poi la Parola scava un varco nel nostro cuore e lo apre alla contemplazione. Quest’ultima non designa uno stato estatico e neppure allude a «visioni», ma indica la progressiva conformazione del nostro sguardo a quello di Dio: la contemplazione cristiana consiste nel vedere il mondo con gli occhi di Dio; così si vedono con occhi nuovi noi stessi e chi ci vive accanto, si vede una donna dove gli altri vedono una prostituta, si vede un uomo dove gli altri vedono un delinquente…
Non dimentichiamo infine che la Scrittura, autentica “lettera di Dio agli uomini”, è data per essere vissuta e obbedita: vivere la Parola diviene così il criterio fondamentale per comprendere la Scrittura stessa, la quale si svela nella misura in cui la mettiamo in pratica. È così che, come diceva Gregorio Magno, «la Scrittura cresce con chi la legge»; è così che avviene il passaggio pasquale dalla pagina alla vita e la lectio divina plasma uomini e donne capaci di amore, capaci di «avere in sé lo stesso sentire che fu in Cristo Gesù» (cf. Fil 2,5).
Enzo Bianchi
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