14 settembre 2008
di ENZO BIANCHI
Benedetto XVI ha voluto mostrare in quello spazio pubblico condiviso che è lo stato laico come “ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo
La Stampa, 14 settembre 2008
Il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Francia che continua anche oggi e domani a Lourdes, cuore orante della chiesa francese, ha riservato non pochi spunti fecondi nella sua tappa parigina, dedicata principalmente all’incontro con i rappresentanti della nazione francese e con il mondo della cultura. Molti si attendevano una riflessione sul rapporto tra fede e laicità, e questa non è mancata: ricordando che “la chiesa in Francia gode attualmente di un regime di libertà” e che “la diffidenza del passato si è trasformata a poco a poco in un dialogo sereno e positivo” il papa ha voluto riprendere l’espressione di “laicità positiva” utilizzata dal presidente Sarkozy per riaffermare quanto sia “fondamentale, da una parte, insistere sulla distinzione tra l’ambito politico e quello religioso al fine di tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e, dall’altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società.”. Che questo era il taglio di fondo pensato per l’incontro con la nazione europea “laica” per eccellenza, dove è chiamata a dare la sua testimonianza la “figlia primogenita della chiesa”, lo si era capito già da alcune battute scambiate in aereo con i giornalisti: “Tra laicità e fede non esiste contrasto. La religione non è identificabile con lo stato”. Del resto, anche il cardinale Segretario di stato in un’intervista nell’imminenza del viaggio aveva sottolineato con notevole chiarezza come “laicità e fede non si contrappongono” e aveva ricordato gli sforzi compiuti dalla chiesa francese per “far capire che essa non parla né agisce al modo di una lobby che cerca di promuovere i propri interessi, ma che vuole contribuire alla ricerca del bene comune”. La “positività” della laicità allora consiste proprio nel suo sapersi porre non come avversario della religione, non come negazione di ogni istanza spirituale, ma come spazio vigile di libertà affinché tutti, indipendentemente dalla fede professata o dal non professarne alcuna, possano operare per il bene della collettività e perseguire la propria piena umanizzazione.
Analoga attesa circondava il discorso al mondo della cultura. Anzi, per certi versi, era proprio su quell’appuntamento che vertevano molte attese per parole capaci di varcare i confini ecclesiali e proporre una visione cristiana sulla società e la cultura di oggi e di domani, soprattutto nell’Europa ormai secolarizzata e tentata di dimenticare le proprie radici. Ebbene, l’approccio di Benedetto XVI ha saputo andare con sapienza a queste radici e trarne un insegnamento attualissimo e davvero universale, e lo ha fatto soffermandosi su un aspetto particolare della storia e della presenza della chiesa nel nostro continente, un aspetto oggi apparentemente marginale, poco significativo e non a caso sfuggito a molti commentatori: il monachesimo. Prendendo lo spunto dal luogo in cui parlava – il Collège des Bernardins, edificato dai monaci “figli” di san Bernardo di Chiaravalle come luogo di studio e di formazione, recentemente restaurato per essere dedicato al “dialogo tra la sapienza cristiana e le correnti culturali intellettuali e artistiche dell’attuale società” – il papa si è addentrato in una lettura “delle origini della teologia occidentale e delle radici della cultura europea”, identificandole con il monachesimo medievale, animato dalla complementarietà tra “desiderio di Dio” e “amore per la parole”: il quaerere Deum e le lettere, la cultura umanistica. Ne è scaturito un discorso che, lungi dal restare confinato nell’angusto spazio della clausura monastica, ha affrontato con sguardo autenticamente contemplativo ed “escatologico” – proprio di chi “dietro le cose provvisorie cerca il definitivo” – tematiche quanto mai universali, aprendo vasti orizzonti di senso. Così si è potuto cogliere come “la cultura della parola”, prezioso patrimonio europeo, grazie al monachesimo si sia sviluppata a partire dalla ricerca di Dio e come questo “cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui oggi non è meno necessario che in tempi passati”. Così è emersa la necessità di un approccio interpretativo della Scrittura alla luce della Scrittura stessa, che rifugga da qualsiasi fondamentalismo nella lettura della bibbia perché “la parola di Dio stesso non è mai presente già nella semplice letteralità del testo”. Così è stata evocata con forza la “misura interiore” della libertà, la sua dimensione spirituale che “pone un chiaro limite all’arbitrio e alla soggettività” istituendo “un legame superiore a quello della lettera: il legame dell’intelletto e dell’amore”.
Accanto a questa sottolineatura di una lettura orante della Scrittura e della sua dimensione liberante, accanto alla dimensione della preghiera che si dilata fino a diventare lettura della storia e lievito di cultura, il papa ha voluto ricordare anche come il monachesimo benedettino – e molti si erano forse già dimenticati di una delle ragioni della scelta del nome da parte del cardinal Ratzinger eletto papa – abbia anche saputo dare dignità al lavoro umano, anche manuale, in un’epoca in cui “il saggio, l’uomo veramente libero si dedicava unicamente alle cose spirituali” e chi saggio magari non era ma possedeva la terra o il potere si arricchiva con il lavoro degli altri. Così il cristianesimo non sarà estraneo alla nascita della “cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione nel mondo sono impensabili”.
Sì, la rilettura del fenomeno monastico compiuta da Benedetto XVI ha voluto mostrare in quello spazio pubblico condiviso che è lo stato laico come “ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”. E i cristiani anche oggi, se sono fedeli al vangelo e alla loro grande tradizione, sono capaci di dare un contributo prezioso per la costruzione di una polis segnata da giustizia, pace, libertà e qualità della convivenza.
Enzo Bianchi
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Pubblicato su: La Stampa