4 maggio 2008
di ENZO BIANCHI
Ma cosa significa ascoltare? Innanzitutto accettare in profondità di sacrificare ciò che ci pare sempre più prezioso: il tempo
Avvenire, 4 maggio 2008
Ascoltare sembra un’operazione abituale, quasi banale, eppure l’ascolto autentico è raro e difficile. Costantemente immersi come siamo in rumori di vario tipo, sollecitati da messaggi multiformi, non conosciamo più il silenzio come ambiente e condizione indispensabile all’ascolto dell’altro. Silenzio e ascolto, infatti, pur non identificandosi, si nutrono reciprocamente: è solo nel silenzio che la parola può risuonare nitidamente, ed è lasciando che il nostro silenzio sia abitato da quanto abbiamo ascoltato in profondità che evitiamo di cadere nel mutismo o nel terrore del vuoto e del non senso. Così, sempre più incapaci di silenzio fecondo, finiamo per smarrire anche l’arte dell’ascolto: lungi dal considerarlo un’opportunità preziosa, subiamo come pratica fastidiosa il dover “stare a sentire” qualcuno mentre, dal canto nostro, siamo sempre pronti a parlare, riversando i nostri confusi bisogni su chiunque si trovi a portata di voce.
Ma cosa significa ascoltare? Innanzitutto accettare in profondità di sacrificare ciò che ci pare sempre più prezioso: il tempo. Occorre tempo per ascoltare, un tempo vissuto senza fretta, senza angoscia; occorre la consapevolezza che si deve decidere di ascoltare. D’altronde, l’ascolto è la prima forma di rispetto e di attenzione verso l’altro, la prima modalità di accoglienza della sua presenza. Sappiamo per esperienza che l’altro non sempre pronuncia parole di reale interesse, che l’altro spesso chiacchiera o parla a se stesso. Ma se è vero che l’ascolto esige sforzo e pazienza, è altrettanto vero che solo un ascolto autentico sa discernere e trarre lezioni anche da dialoghi apparentemente insulsi… Ascoltare significa essere attenti, accogliere le parole di chi ci sta di fronte ma anche, più in profondità, tentare di ascoltare ciò che egli vuole comunicare al di là di quanto riesce a esprimere: per questo è necessario impegnarsi a cogliere anche il suo “non detto”, ciò che egli sottintende o addirittura nasconde. Solo attraverso questo quotidiano esercizio si può giungere a una comunicazione vera, a un ascolto autentico capace di far esistere l’altro e dargli consistenza!
Ma accanto all’ascolto dell’altro vi è un’arte ancora più difficile, un “lavoro” faticoso ma indispensabile per una vera vita interiore: l’ascolto di se stessi, del proprio profondo. Senza questo ascolto della coscienza – del “maestro interiore” come lo chiamava Agostino – non è possibile alcuna umanizzazione. Si tratta dunque di ascoltare le “intuizioni” e le “parole” che emergono dal mistero del proprio “uomo nascosto del cuore” (1Pt 3,4). Ascolto psichico? Certo, ma anche ascolto di ciò che non sappiamo chiamare se non “spirituale”, dovuto cioè allo spirito che ci abita: spirito umano ma, per i credenti, anche Spirito di Dio, proveniente dal di fuori di noi eppure innestato nel nostro intimo…
Ed è qui che l’ascolto diventa anche ascolto di Dio, della sua Parola, del suo comunicarsi attraverso eventi, persone, narrazioni del suo agire. Così infatti nasce un credente: quando un uomo ascolta come rivolta a sé la parola che Dio a indirizzato a Gesù: “Tu sei il mio figlio amato!” Sì, l’ascolto è in radice la risposta amorosa a Dio, è l’amore. Non si dimentichi che il grande comandamento ripreso anche da Gesù – “Ascolta, Israele!” – è illuminato e trova la sua verità in ciò che segue immediatamente: “Amerai il Signore tuo Dio!”. L’ascolto di Dio e degli uomini, in fondo, è sempre e solo una questione d’amore.
Enzo Bianchi
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