Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Parole contro gli idoli

13/04/2008 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2008,

Parole contro gli idoli

Avvenire

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13 aprile 2008

di ENZO BIANCHI

Abbiamo ancora bisogno che qualcuno scriva, pronunci, faccia risuonare parole che iniziano alla vita e aprono cammini ogni volta inediti

 

Avvenire, 13 aprile 2008

 

“Morta è una parola / appena detta, / han detto. Io dico / quel giorno comincia la sua vita”. Vi è forse un’eco del racconto biblico della creazione e dell’efficacia della parola pronunciata da Dio in questa poesia di Emily Dickinson, ma vi è anche una verità sulle parole, vane o sapienti, che ciascuno di noi pronuncia, e soprattutto vi è una lode alla poesia, alle parole capaci di creare eventi, di trasmettere vita, di creare speranze e identità nuove. Ma la poesia, questa arte che “crea”, che “fa”, produce senso ha ancora un posto nel nostro mondo in cui consideriamo ogni prodotto come merce, ogni scambio come profitto, ogni comunicazione come commercio? Oppure è parola “morta” appena pronunciata, soffio vano che non lascia traccia di sé?

 

Credo che la poesia abbia una vitalità propria, che si nutre della fatica dei poeti, ma che in un certo senso la trascende: solo così ha potuto attraversare i millenni, abitare le svariate lingue, adornare le diverse culture, affascinare uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. La poesia autentica, quella in cui il poeta è veicolo di un’ispirazione “altra” da lui, pone infatti il lettore di ogni tempo a contatto non solo con lo “sta scritto” di un testo o con l’esperienza spirituale di un autore, bensì con un mondo spirituale che ha costantemente e ovunque qualcosa da dire. Il poeta è testimone di conoscenze profonde, che paiono arcane al mero esercizio della ragione: egli rivela e trasmette una sapienza avvolta nel silenzio. Non per nulla vi è chi coglie una similitudine tra l’esperienza dell’ispirazione profetica e quella del poeta. Il profeta, come il poeta, si ritrova tra le mani e sulle labbra un messaggio sconvolgente con il quale deve convivere e che non può tacere a chi gli è compagno in umanità. E al poeta, come al profeta, è richiesto un atto di obbedienza e di sottomissione affinché la sua parola divenga energia creatrice, linguaggio promotore di storia.

 

Il poeta sa anche di dover restare costantemente piccolo perché la sorpresa di fronte alle alterità che abitano in lui o nel suo mondo lo coglie, lo ferisce, lo umilia: un universo lo interroga e un’attesa lo abita, quell’attesa di senso che è anelito di ogni essere umano. E in questa piccolezza, in questa fragilità vi è anche la ricchezza della gratuità, della parola che non serve e che, proprio per questo, non è serva di nessun padrone e perciò dona libertà a chi la pronuncia e la scrive, come a chi la ascolta o la legge. Sì, il nostro mondo ha ancora e sempre bisogno di poesia, perché ha bisogno di uomini e donne che sappiano custodire in se stessi il dialogo con ogni alterità, senza sopraffare gli altri né con il proprio io sordo a ogni voce estranea, né con l’idolo di certezze immutabili da contrapporre a chi non sa, o non vuole, smettere di aspettare il futuro. Abbiamo ancora bisogno che qualcuno scriva, pronunci, faccia risuonare parole che iniziano alla vita e aprono cammini ogni volta inediti: solo così ciascuno saprà andare oltre, verso un’identità più ricca perché, come ha scritto su queste pagine il poeta Adonis, “l’uomo è sempre un superamento di se stesso: viene dall’avvenire più che dal passato”.

 

Enzo Bianchi

 

Pubblicato su: Avvenire