Pubblicato su: Jesus - settembre 2010
di Enzo Bianchi
La fede, il credere sono una necessità umana: potremmo dire che non ci può essere autentica umanizzazione senza la fede. Come sarebbe possibile, per noi esseri umani, vivere senza fidarsi di qualcuno?
Secondo l’apostolo Paolo, “non di tutti è la fede” (2Tess 3,2), cioè non tutti accolgono il dono della fede da parte di Dio perché essa è “virtù teologale”, come recitava il catechismo: si può quindi affermare anche che questo dono non è fatto a tutti. La fede, infatti, nasce dall’ascolto (Rm 10,17) e perciò occorre che la parola di Dio giunga al cuore dell’uomo e vi desti la fede. Ma è anche vero che la fede – proprio perché è accolta dall’uomo, proprio perché è l’uomo a credere – è anche un atto umano, un atto di libertà dell’uomo, un atto al quale si può essere educati: la fede, infatti, quale atto umanissimo e vitale significa entrare in relazione, avviare un rapporto vivo con l’“altro”, è dire “Amen”, aderire, fare fiducia, credere.
La fede, il credere sono una necessità umana: potremmo dire che non ci può essere autentica umanizzazione senza la fede. Come sarebbe possibile, per noi esseri umani, vivere senza fidarsi di qualcuno? A differenza di molti animali, infatti, noi usciamo incompiuti dal grembo di nostra madre e per “venire al mondo”, per crescere come persone in relazione con gli altri dobbiamo mettere fiducia in qualcuno. Il bambino, appena nato dalla madre, ha subito bisogno di sentire che può mettere fiducia anche in suo padre, nei genitori, in quelli che sono i suoi primi riferimenti. Occorre che gli venga dato il cibo, un riparo dal freddo o dal caldo, la parola... e così viene educato a credere perché, scoprendo gratuità e coerenza, sente di poter crescere e di potersi fidare, avverte che esistere ha un senso. È credendo negli altri che, a poco a poco, il bambino crede anche in se stesso: l’affidabilità è possibile. Più tardi scoprirà di essere in grado di iniziare una storia d’amore solo se sarà capace di credere nell’altro e di essere a propria volta affidabile per l’altro. Non è forse significativo che un tempo coloro che iniziavano una storia d’amore e la assumevano con responsabilità e consapevolezza si chiamavano “fidanzati” e al momento delle nozze si scambiavano la “fede”, anello che simboleggiava la fiducia dell’uno nell’altro? Durante tutta la nostra esistenza noi umani dobbiamo avere fede, fiducia, dobbiamo saper credere agli altri: anche nelle relazioni sociali e in quelle economiche dobbiamo fidarci, “fare credito”, come dice il linguaggio commerciale, cioè credere a qualcuno.
Sì, c’è un’umanità della fede alla quale noi cristiani, purtroppo, non siamo sufficientemente attenti: rischiamo subito di essere divorati dall’ansia o dalla passione della fede in Dio e non comprendiamo che senza questa fede umana non è possibile che in una persona si innesti la fede in Dio, se non come dichiarazione teista, come affermazione di appartenenza culturale e identitaria, non certo come confessione cristiana.
Ma proprio questa umanità della fede ci porta a confessare oggi la crisi della fede: crisi dell’atto umano del credere diventato così difficile, raro e sovente, comunque, contraddetto. Abbiamo difficoltà a credere all’altro, siamo poco disposti a mettere fiducia negli altri, siamo incapaci a “credere insieme agli altri” in un obiettivo, un progetto che pur sentiamo buono in noi stessi. Lo constatiamo ogni giorno: perché si preferisce la convivenza al matrimonio? perché è diventata così difficile una storia perseverante e fedele nell’amore? perché la parola data nel matrimonio o nella vita comunitaria, nelle relazioni amorose è così facilmente smentita? Oggi non riusciamo più a credere e forse, soprattutto, a credere nell’amore?
Eppure l’apostolo Giovanni dà questa definizione lapidaria dei cristiani: “Noi siamo quelli che crediamo all’amore” (1Gv 4,16). Sì, sovente sento lamentele sulla mancanza di fede in Dio, sulla rimozione che la nostra società opera nei confronti di Dio, ma in cuore sono tentato da una reazione di insofferenza: com’è possibile lamentarsi che la gente non crede più in Dio quando non crede più nell’altro, in chi sta accanto, nella compagnia degli uomini e delle donne? Come pensare di poter credere in un Dio che non si vede e non credere nell’essere umano, negli altri che vediamo e grazie ai quali cresciamo e diventiamo persone adulte?
A leggere con sapienza la bibbia, vi cogliamo innanzitutto una lunga educazione alla fede, operata da Dio stesso, partendo da Abramo fino a Gesù Cristo. Non a caso il libro della Sapienza ci parla di “Dio educatore dell’uomo”, Dio che insegna a essere umani. La chiesa italiana si è impegnata nei prossimi anni a riflettere sull’educazione alla fede: non dimentichiamoci che la ricerca e l’impegno saranno fecondi se terremo conto che la fede ha anche un’umanità: questo significa non solo credere in Dio, aderire a Dio, ma anche credere nel prossimo, nella terra, nel futuro.
Una domanda dai molti volti mi pare sorgere allora da queste considerazioni: chi è credente? quando uno crede veramente? sono davvero non credenti tutti quelli che si dicono atei? e sono veramente credenti tutti quelli che dicono di credere in Dio o vantano orgogliosamente la propria appartenenza cristiana?