Pubblicato su: JESUS - Aprile 2010
di ENZO BIANCHI
Questa relazione, questo contatto con i non credenti non è solo un servizio che si fa loro, ma è anche un ricevere da loro almeno un’urgenza di una fede meno ideologica, meno in balia dell’idolatria e più capace di rispondere
L’ATRIO DEI GENTILI
Il Tempio di Gerusalemme era il luogo in cui Dio aveva fissato la sua presenza e per questo il popolo di Israele saliva alla collina del Tempio per “incontrare Dio”, per “vedere il suo volto”, per adorarlo e ascoltare la sua voce. Attorno a quella stanza cubica chiamata “Santo dei santi” – il luogo della presenza di Dio, la cui vista da parte dei credenti era preservata da una tenda – vi era uno spazio riservato ai sacerdoti per compiere i sacrifici, quindi un altro spazio destinato ai credenti figli di Israele, uomini e donne... Ma nella medesima zona del Tempio vi era anche un’altra area, pensata per gli “altri”, i non ebrei, i non credenti nel Dio Uno e unico di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: uno spazio per gli altri, così come al centro vi era quello spazio per l’Altro-Dio.
Sì, uno spazio nel Tempio del Dio vivente, ma per gli “altri”, i non ebrei, gli stranieri, i lontani… Straordinaria creazione che dichiara come il Dio di Israele sia un Dio che vuole incontrare tutti gli uomini e che per questo appresta loro uno spazio di avvicinamento, in cui sia possibile ascoltare la sua tenue voce, il suo sottile silenzio. Ma al tempo di Gesù questo spazio era occupato da venditori di animali vittime per i sacrifici e da cambiavalute, veniva addirittura attraversato da chi voleva accorciare il tragitto ed evitare di percorrere tutte le mura del Tempio. Per questo il Vangelo di Marco riporta che Gesù “si mise a scacciare quelli che vendevano e compravano nel Tempio, rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il Tempio. E insegnava loro dicendo: ‘Non sta forse scritto: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti (gojim)?’” (Mc 11,15-17; cf. Is 56,7).
Benedetto XVI, con felice intuizione, ha ripreso questa immagine del cortile dei pagani per affermare: “Io penso che la chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di ‘cortile dei gentili’ dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto” (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2009). Questa indicazione-proposta del papa dovrebbe essere accolta con molta attenzione, perché oggi siamo consapevoli che la maggior parte degli uomini in mezzo ai quali dimorano i cristiani sono indifferenti, agnostici, a volte atei, comunque non cristiani: non sono neanche religiosi come gli ateniesi che ipotizzavano un Dio sconosciuto (cf. At 17,23). È urgente allora che i cristiani sappiano pensare nel loro rapporto con Dio, nella loro preghiera, nella loro adorazione, anche agli altri uomini che non devono restare “fuori”. Questo significa anche apprestare loro uno spazio, offrire loro la possibilità di un ascolto, di un confronto, di un incontro che li possa avvicinare al mistero del Dio invisibile: Dio, infatti, “vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4). Tutti gli esseri umani, anche se in modo confuso, desiderano salvezza, ed è per questo che noi cristiani dovremmo stare attenti a non chiudere loro la strada ma, al contrario, ad aprirla. Chi dialoga con Dio (con il Santo dei santi), deve anche saper tessere relazioni con gli uomini suoi fratelli, anche se non credenti (atrio dei gentili).
Vorrei aggiungere che questa relazione, questo contatto con i non credenti non è solo un servizio che si fa loro, ma è anche un ricevere da loro almeno un’urgenza di una fede meno ideologica, meno in balia dell’idolatria e più capace di rispondere alla “ragione” che può purificare la fede stessa. Questo cortile assicura anche che “la chiesa sia dialogo, si faccia dialogo, si faccia parola e conversazione”, come auspicava Paolo VI nella Ecclesiam suam (n. 67). La chiesa non è chiesa se non quando esiste per gli altri, e a questo fine deve apprestare tutto, tutto predisporre affinché avvenga l’incontro tra il suo Signore – al servizio del quale lei sta – e gli uomini tutti.
In questo cortile dei pagani, i cristiani troveranno persone appartenenti ad altre religioni o spiritualità, persone che si dicono senza Dio e che sovente combattono false immagini di Dio di cui sono prigioniere, persone che cercano vie di umanizzazione perché credono nell’essere umano, persone che percorrono i sentieri della scienza e della tecnica ma non estinguono la loro sete e la loro ricerca. Per tutti costoro, senza imposizione, senza disprezzo, senza sentimenti di superiorità, i cristiani nel cortile dei pagani possono passeggiare anche sottobraccio, dicendosi l’un l’altro ciò che arde nel proprio cuore, ciò di cui hanno sete, lontano da ogni scambio o commercio e senza portare pesi che ingombrino questo cortile, spazio anche di libertà.
La proposta di Benedetto XVI non sia evasa!