Pubblicato su: JESUS - ottobre 2009
di ENZO BIANCHI
Già da un po’ di anni si parla di “cristiani senza chiesa”, di “chiesa parallela”, di “scisma sommerso” per indicare una realtà sempre più emergente
Già da un po’ di anni si parla di “cristiani senza chiesa”, di “chiesa parallela”, di “scisma sommerso” per indicare una realtà sempre più emergente: ci sono cristiani che, pur mantenendo la fede in Gesù Cristo come Signore e Salvatore, rifiutano l’appartenenza alla chiesa, vivono etsi ecclesia non daretur, come se la chiesa non ci fosse. Ma negli anni più recenti ancora, almeno in Europa, sembra crescere anche il numero di coloro che sentono la chiesa quasi nemica, la percepiscono come ostacolo alla missione evangelizzatrice nel mondo, come una contraddizione rispetto al vangelo. È un sentimento più forte di quello di Simone Weil che evocava la chiesa come “il grande animale sociologico” di fronte al quale si fermava e non poteva entrare. Come è possibile questo fenomeno?
Un cristiano sa che la chiesa non può essere assente dalla sua fede, perché il suo io “credente” non può essere solitario: unus christianus, nullus christianus, “un cristiano solo, nessun cristiano”, ripetevano con sapienza i padri. Quando il cristiano confessa “io credo”, lo dice sempre personalmente, ma in comunione con altri, lo dice, appunto, con la chiesa e sa che senza di essa egli non avrebbe potuto essere generato alla fede, innestato nella vita stessa di Gesù e nutrito nel suo cammino quotidiano. E la chiesa non è forse il corpo di coloro che, chiamati da Cristo e formando una comunità, costituiscono il corpo di Cristo nella storia? La chiesa dunque va accolta dal cristiano come una madre e il cristiano deve sentire la propria filialità come un dono fatto da Cristo sulla croce a tutti i discepoli – “Ecco tua madre!” – deve “prenderla con sé”, ritenerla tra i doni più preziosi (Gv 19,27).
Tuttavia occorre dire che assumere il mistero della chiesa e viverlo nel quotidiano non è un’opera che va da sé, bensì l’esercizio di un amore che a volte costa, e costa molto. Sì, ci sono persone che amano la chiesa perché conviene loro, ma non sanno cosa sia il vero amore che si deve avere per una madre, sposa del Signore, la quale deve sempre essere fedele al suo Sposo. Amare la chiesa significa, a volte, soffrire per lei, desiderarla più fedele, maggiormente plasmata dal vangelo, più conforme a Gesù Cristo. Animati da questo amore, nel corso della storia fino ai nostri giorni molti cristiani hanno osato parole profetiche, hanno avuto il coraggio di far risuonare la parola di Dio e le sue esigenze anche quando nessuno o pochi nella chiesa volevano ascoltare, hanno chiesto anche alla chiesa di tornare, di convertirsi al suo Signore. E così, non solo hanno sofferto per lei, ma talvolta hanno anche finito per soffrire a causa sua, perché in essa non mancano mai uomini segnati dalla complicità con il mistero di iniquità.
Sì, a volte si constatano presenze che nella chiesa agiscono come “bande”, a volte si vedono emergere corruzione, sete di potere, compromessi... Altre volte, più semplicemente e quotidianamente, si incontrano paure, pigrizia, adulazione, silenzio omertoso... In questo caso il cristiano accetta di soffrire senza rassegnarsi e, se non può parlare perché il silenzio gli viene imposto, sa urlare la verità persino con il silenzio. Ci sono ore e stagioni in cui questa sofferenza si fa più forte e viene anche la tentazione di cedere al cinismo, di non credere più a possibili primavere della chiesa, di non attendere più che, dove dovrebbe esserci almeno la ricerca faticosa della santità, cessi la tranquilla sordità alla voce del vangelo. È l’ora della tentazione, ma occorre credere più che mai alla fedeltà di Cristo al suo corpo, occorre amare questo “suo corpo” anche quando appaiono i segni del peccato, come ha fatto Gesù. È l’ora di guardare a se stessi, ai propri peccati, ai propri tradimenti e non sentirsi migliori. La chiesa è una comunione di santi, ma è anche sempre una solidarietà di peccatori: i peccati non generano mai comunione ma divisione, separazione, perché sono opera del diavolo, il “divisore”; ma nel peccato noi possiamo sentire la solidarietà. Sì, non siamo migliori dei nostri padri e dei nostri fratelli: la vera differenza è quella che sembra imporsi tra peccatori manifesti e peccatori nascosti, tra quanti si pentono dei loro peccati e quanti li negano, rigettandoli sugli altri. Ma agli occhi di Dio la realtà risplende nella sua verità più profonda: il suo sguardo che discerne, giudica e usa misericordia è lo sguardo che dobbiamo acquisire se vogliamo leggere in modo evangelico anche i momenti più sofferti della nostra appartenenza vitale alla chiesa.