Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Fr. Roger, monaco per l’unità

19/08/2005 00:00

ENZO BIANCHI

Riviste 2005,

Fr. Roger, monaco per l’unità

Agenzia SIR

Agenzia SIR, 19 agosto 2005

 

di ENZO BIANCHI

 

E vi è un aspetto del ministero di riconciliazione offerto da fr. Roger alla chiesa e al mondo che è stato poco sottolineato in questi giorni di commemorazione della sua figura

“Fratello, non rassegnarti mai allo scandalo della separazione fra cristiani che professano così facilmente l'amore del prossimo, ma rimangono divisi. Abbi la passione dell'unità del corpo di Cristo”: così si chiude la premessa della regola di Taizé, scritta da fr. Roger nei primi anni di vita comunitaria e adottata nel 1951. E fr. Roger, fino all'ultimo non si è mai rassegnato a questo scandalo: passione per l'unità dei cristiani e amore del prossimo, annuncio del vangelo della pace e sete di giustizia, semplicità di vita e dialogo con i giovani di almeno tre generazioni di tutti i continenti sono stati da lui vissuti come un'unica opera di riconciliazione. E gli imperscrutabili disegni di Dio hanno voluto che la sua vita, lunga e sazia di giorni come quella dei patriarchi biblici, chiudesse tragicamente la sua parabola terrena proprio nella chiesa della “riconciliazione”, cuore e simbolo del percorso di un'intera esistenza.

 

E vi è un aspetto del ministero di riconciliazione offerto da fr. Roger alla chiesa e al mondo che è stato poco sottolineato in questi giorni di commemorazione della sua figura, ma che pur mi pare fondamentale per cogliere in profondità il segno costituito da Taizé e dal suo priore: la riconciliazione tra monachesimo e chiese della riforma. Dalla drammatica frattura nel cristianesimo d'occidente consumatasi nel XVI secolo, le chiese della riforma non avevano più conosciuto al loro interno la testimonianza monastica, il segno posto da uomini e donne che, accettando di vivere nel celibato e nella vita comune la radicalità del proprio battesimo, costituissero una memoria vivente della “grazia a caro prezzo”. Fr. Roger ebbe l'audacia di riproporre alle chiese che si stavano appena aprendo a qualche esperienza di diaconato femminile, la gratuità di una vita spesa di fronte a Dio e a servizio dei fratelli, senza opere particolari, senza strutture massicce, senza impegni a tempo determinato. E la ripropose non con sottili disquisizioni teologiche, non con calcoli di efficacia opportunistica, ma con la forza disarmante del vissuto quotidiano: sì, era ancora possibile, anche a chi voleva dare il primato assoluto al Vangelo, il sottomettersi a una regola e a un'autorità, come per secoli era stato nel monachesimo. Certo, “il sottometterti a una regola comune ha valore soltanto se fatto a causa di Cristo e del Vangelo”, ma un vuoto secolare era colmato: non è un caso se gruppi e comunità nascenti all'interno di diverse chiese della riforma – penso in primo luogo alla Comunità di Grandchamp –  finirono ben presto per guardare a Taizé e alla sua regola come a una via di possibile conciliazione tra istanze evangeliche della riforma e grande tradizione della chiesa indivisa.

 

E questa riconciliazione ad intra, con un passato ormai dimenticato eppure parte del proprio patrimonio, si accompagnò quasi naturalmente con una ritrovata fraternità ad extra, verso le altre chiese, quella cattolica come quelle ortodosse. Anzi, la riscoperta del monachesimo all'interno del mondo riformato ha costituito anche un'occasione unica di ripensamento della vita monastica, del suo senso e del suo modo di porsi, anche all'interno della stessa chiesa cattolica. Sì, il rinnovamento che la vita religiosa cattolica ha conosciuto negli anni del post-concilio è debitore certo della “novella pentecoste” del Vaticano II, ma anche di quella “primavera della chiesa”, di quella “innocenza del cuore” – sono parole di papa Giovanni XXIII – che ha rappresentato in quegli stessi anni la Comunità di Taizé e il suo priore, fr. Roger.