SIR, 17 dicembre 2002
di ENZO BIANCHI
Come la Pacem in terris, anche il messaggio di Giovanni Paolo II prende le mosse da uno sguardo “al presente e al futuro con gli occhi della fede e della ragione”, gli occhi dell’autentico contemplativo
In questi giorni difficili, in cui si continua a “sentir parlare di guerra e di rumori di guerra” (cf. Mt 24,6), Giovanni Paolo II ripropone con forza “a tutti gli uomini di buona volontà” l’audacia profetica di papa Giovanni XXIII, che quarant’anni or sono volle aprire nuovi orizzonti alla pace con la sua enciclica Pacem in terris. Oggi come allora, molti sono “coloro che ritengono impossibile la pace”, ma oggi come allora la voce del papa interviene per dare un nome e creare uno spazio vitale alla pace: nel messaggio dello scorso anno Giovanni Paolo II aveva voluto legare la ricerca della pace alla giustizia e al perdono, quest’anno, riprendendo le intuizioni del suo predecessore da lui proclamato beato, sottolinea il nesso imprescindibile tra pace e “quattro precise esigenze dell’animo umano: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà”.
Come la Pacem in terris, anche il messaggio di Giovanni Paolo II prende le mosse da uno sguardo “al presente e al futuro con gli occhi della fede e della ragione”, gli occhi dell’autentico contemplativo che cerca di vedere il mondo come Dio lo vede, perché “le cose non sempre sono come appaiono in superficie”. Allora questo sguardo lungimirante diviene capace di discernere non solo i segnali negativi e tragici che, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti, ma anche i segni dei tempi che invocano pace proprio al cuore dei conflitti, delle ingiustizie, delle lacerazioni brutali ai diritti umani. Non a caso il papa richiama l’importanza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948: diritti fondamentali per “l’edificazione di un mondo caratterizzato ... dal dialogo anziché dalla forza”. E’ al dialogo franco ma paziente, ostinato e sapiente che il papa invita, proprio in giorni in cui molti sembrano spingere verso l’affrettata conclusione di un dialogo di facciata per lasciar spazio e voce solo alle armi e alla guerra. Giovanni Paolo II, invece, si attarda volutamente a sottolineare la forza del dialogo, l’efficacia dimostrata nella storia anche recente, l’importanza di porre con tenacia, nel quotidiano “gesti di pace che creano una tradizione e una cultura di pace”, la sola capace davvero di opporsi con speranza di successo alla logica della guerra.
Gesti di pace che “nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace”. Sì, perché la pace può nascere solo lì, nel cuore delle persone, e solo da lì può dilatarsi fino a divenire forza pacata ma risoluta che plasma il pensare e l’agire della collettività, della società, della politica. Gesti di pace che nelle diverse circostanze concrete assumono la forma di parole e azioni di verità, giustizia, amore e libertà; gesti di pace di uomini e di donne che – come molti della generazione che li ha preceduti – non si stancano di “bussare da entrambe le parti di tutti i muri” perché si spalanchi la porta del riconoscimento della “comune appartenenza alla famiglia umana” e di un futuro in cui sia possibile a tutti “vivere in sicurezza, giustizia e speranza”.
E come lo scorso anno aveva auspicato che il perdono come via per la pace si traducesse anche “in atteggiamenti sociali e istituti giuridici”, così quest’anno Giovanni Paolo II invita “coloro che occupano posizioni di responsabilità ... a porre coraggiosamente in questione il loro modo di gestire il potere e di procurare il benessere dei popoli” e riprende l’audacia di papa Giovanni nello stimolarli “a immaginare nuove forme di ordine internazionale a misura della dignità umana”. Discorso forte e coraggioso, nel quale vibra con accenti di particolare intensità la sollecitudine e la preoccupazione per la “drammatica situazione del Medio Oriente e della Terra Santa”, là dove con tragica quotidianità si misura la devastazione che nasce da “un esasperato rifiuto reciproco e una catena infinita di violenze e di vendette”. Eppure, anche per quella terra amata e martoriata, l’appello è a guardare oltre, a dar credito al profondo anelito che abita il cuore di uomini e donne di ogni razza e religione e che porta, secondo le parole della Pacem in terris, “a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie”.