Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Medioevo, la donna nei monasteri scopre la libertà

21/01/2007 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2007,

Medioevo, la donna nei monasteri scopre la libertà

Avvenire

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21 gennaio 2007

di Enzo Bianchi

Oggi, l’articolazione della presenza della donna nella chiesa ha davanti a sé un cammino ancora lungo e anche contraddetto

 

Avvenire, 21 gennaio 2007

 

La novità sociale che un monastero femminile venne a costituire nell’alto medioevo contiene elementi preziosi ancora oggi, anche riguardo ad argomenti attualissimi come quello della funzione e del ministero della donna nella chiesa. Qual era, infatti, la condizione femminile in quei secoli? Un’esistenza di rara durezza, priva di qualsiasi potere economico, socialmente rilevante solo in virtù del matrimonio, sovente imposto, e della procreazione: una donna quasi sempre analfabeta, sottoposta all’autorità assoluta e spesso alla brutalità del marito, facile capro espiatorio di ogni male.

Ci è allora più facile cogliere la valenza “liberatrice” di un’istituzione come il monachesimo: la donna trova nell’ingresso in monastero la possibilità di mutare la propria condizione sociale, di cercare se stessa in un contesto concreto e ricco di significato, con una marcata visibilità ecclesiale e sociale, sottraendosi al suo essere meramente “funzionale” all’uomo. Rimane indubbio il dato che, così come per i matrimoni concordati dai genitori, anche per l’accesso alla vita monastica sovente la decisione non dipendeva dal singolo ma dai familiari; tuttavia gli spazi di libertà che si aprivano imboccando questo sentiero “obbligato” erano comunque ben più ampi di quelli offerti a una giovane sposa.

Né va dimenticato l’aspetto culturale legato alla vita monastica femminile. Non si tratta solo dell’accesso all’alfabetizzazione in vista della recita corale del salterio e, più ancora, della lectio divina personale sui testi della Scrittura nel latino della Vulgata: elemento tutt’altro che trascurabile, soprattutto se si considera che non si trattava di acquisire le elementari capacità di “leggere, scrivere e far di conto” una volta per tutte, ma piuttosto di un apprendimento delle lettere “dinamico”, che diviene per molte monache uso quotidiano costantemente affinato.

Ma ancor più significativa e attuale è la dimensione “culturale” di una vita comunitaria disciplinata all’interno degli ampi spazi della clausura monastica: una societas di donne che gestiscono tempi, spazi, lavori, economie in un’autonomia praticamente esente da qualsiasi interferenza esterna, una societas di cui possono entrare a far parte a pieno titolo donne già schiave o libere, ignoranti o colte, nobili o popolane, ricche o povere, una societas la cui autorità – la badessa – è eletta liberamente con il voto di tutte le sorelle mediante quello che oggi chiameremmo un “suffragio diretto e universale” costituisce un ambito culturale ricco e liberante, difficilmente reperibile altrove, non solo nella società medievale ma ancora ai nostri giorni.

 

Non so perché, ma non si ricorda mai che nel monachesimo una badessa ha la stessa autorità di un abate e che c’è un’assoluta parità di istituzioni tra una comunità monastica femminile e una maschile. Questo è un unicum presente nella chiesa cattolica come in quelle ortodosse, e mai si è teorizzata una soggezione delle monache ai monaci. Oggi, l’articolazione della presenza della donna nella chiesa ha davanti a sé un cammino ancora lungo e anche contraddetto, un percorso che richiede anche un serio approfondimento dell’antropologia femminile, rincresce tuttavia che la millenaria esperienza del monachesimo femminile non sia percepita come una ricchezza e una risorsa cui attingere ispirazione in questo ambito.

 

Enzo Bianchi

 

Pubblicato su: Avvenire