12 agosto 2005
È a Giovanni, il discepolo amato, il teologo e il contemplativo, che von Balthasar si è richiamato per dar nome alle fondazioni a lui più care: la casa editrice (Johannes Verlag) e l’Istituto secolare (Johannesgemeinschaft). E l’armonia fra teologia e contemplazione von Balthasar l’ha sempre perseguita. Nella certezza giovannea che “la cosa più profonda del cristianesimo è l’amore di Dio per la terra. Che Dio nel suo cielo è ricco, lo sanno anche altre religioni. Che egli con le sue creature abbia voluto essere povero, soffrire e, con l’incarnazione, mettersi in grado di dimostrare alle creature il dolore dell’amore, questo è l’inaudito”.
Hans Urs von Balthasar (1905-1988) fu personalità poliedrica e singolarissima, probabilmente un uomo più grande del tempo in cui visse: musicista, germanista, letterato, filosofo, teologo, editore, traduttore, maestro spirituale, conferenziere, fu autore di una vasta produzione teologica in cui dialogò con il patrimonio culturale dell’Occidente. Eppure, in mezzo a tanta ampiezza di orizzonti, tenendo gli occhi fissi a Cristo, ebbe sempre chiaro il centro semplificatore del suo fare teologia: “mostrare la realtà di Cristo come la cosa insuperabilmente massima, id quod majus cogitari nequit, perché è la parola umana di Dio per il mondo, è l’umilissimo servizio di Dio che adempie oltre misura ogni mira umana, è l’estremo amore di Dio nella gloria del suo morire, affinché tutti, oltre se stessi, vivano per lui”. La teologia, mai scissa dalla preghiera, dal desiderium videndi Deum, è così divenuta per lui prassi di purificazione dello sguardo. Non a caso egli amava particolarmente il prefazio di Natale: “Noi ti dobbiamo lodare e ringraziare, Signore, perché per mezzo del mistero del Verbo incarnato, una nuova luce della tua gloria è brillata davanti agli occhi del nostro spirito, cosicché, mentre conosciamo Dio visibilmente, tramite il Verbo siamo rapiti verso l’amore delle cose invisibili”.
Lo sguardo cristocentrico non si è risolto in una teologia chiusa, ma dilatata a una speranza di salvezza universale perché capace di cogliere che nel cristianesimo l’ultima parola non è il no del mondo, ma il sì di Dio: un sì caratterizzato da un movimento di abbassamento, di kenosi, che nella discesa agli inferi trova il suo punto più profondo e insieme più alto, più glorioso, più denso di rivelazione, più splendente di bellezza. Il mistero del sabato santo diviene così l’immagine della rivelazione di Dio nel mondo. Rivelazione che parla di un amore – unica realtà veramente credibile – che è di Dio e da Dio, e che costituisce il saldo fondamento su cui possono sperare il credente e la chiesa nel loro cammino inevitabilmente travagliato: “Insuccessi, battute d’arresto, ricadute, diffamazioni, disprezzo, e infine, come quintessenza della vita, una grande bancarotta: tutto questo fu il pane quotidiano di Cristo, e continuerà ad essere il destino della chiesa in quest’epoca del mondo, e chi vuole appartenere alla chiesa, deve tenersi pronto a simili cose, poiché tutto ciò non verrà mai superato da alcuna evoluzione”. Siamo qui di fronte non a un aspetto particolare della teologia di von Balthasar, ma a un messaggio spirituale urgente per la chiesa del nostro tempo.
Enzo Bianchi