15 febbraio 2003
Mai come in questa vigilia di una possibile guerra contro l’Iraq si è registrato un consenso così ampio da parte di molte chiese nazionali e locali che accolgono l’invito di Giovanni Paolo II a pregare e a digiunare per la pace. Mai come in questa “crisi” si è registrato un unisono ecumenico da parte di tutte le chiese cristiane – ortodosse, evangeliche, anglicane – nel desiderare la pace. Sì, possiamo dire che oggi i cristiani hanno visibilmente assunto la pace come compito che fa parte della loro sequela del Signore, hanno capito che l’annuncio della pace fa parte della buona notizia che è l’Evangelo, vogliono che nessuno possa più pensare che la religione cristiana è portatrice di guerra e di violenza.
Certo, Giovanni Paolo II ha impegnato anche tutta la diplomazia della Santa Sede, ha voluto una missione speciale del cardinal Etchegaray a Baghdad presso Saddam, ha ricevuto in Vaticano il vice-primo ministro iracheno Tareq Aziz, ogni giorno si fa mendicante di pace presso i potenti di questo mondo e quanti possono, da governanti di popoli, diventare signori della guerra. Ma soprattutto egli prega e chiede di pregare per la pace. In verità, per la fede cristiana la pace è il dono per eccellenza che Dio fa all’umanità che cammina nella giustizia e con la capacità del perdono e, proprio per questo, essa è al cuore della preghiera della chiesa, in particolare della chiesa cattolica. Chi conosce la preghiera eucaristica detta “Canone romano” – una preghiera antica di oltre quindici secoli – sa quante volte ricorre l’invocazione, la richiesta della pace: la chiesa sa di essere bisognosa innanzitutto di pace.
Questa è la fede della chiesa. I cristiani devono pregare per la pace convinti che la preghiera è una componente della storia, ha una sua efficacia nella polis: se i cristiani “con un cuore e un’anima sola” pregano e invocano lo Spirito santo che illumini la mente e i cuori dei governanti e di quanti sono responsabili della vita dei popoli, sanno di essere esauditi, perché così ha promesso loro il Signore Gesù. Certo, i cristiani sanno anche che la preghiera è una forza “debole”, ma proprio per questo essa può essere un’arma decisiva. Pregare, infatti, non significa evadere dalla storia, non assumere responsabilità e starsene in una passività di comodo; pregare è invece “contemplare” la realtà e la complessità delle situazioni di crisi con un’ottica che è quella di Dio, con una forza che viene dall’alto, con dei sentimenti che sono quelli di Cristo Gesù e, quindi, affrontare le vicende umane con una maggior capacità di discernimento e una maggior risolutezza nell’azione.
Chi prega mostra di non cedere a fatalismi, di non rassegnarsi al male incombente e di non obbedire a reazioni impulsive: prega per decidere con Dio un comportamento, prega per ascoltare i fratelli e attuare con loro una convergenza di intenzioni, prega per affermare con tutto il proprio essere un radicale rifiuto della violenza, prega per compiere un atto di fede: credere nella pace tra gli uomini. Non solo, ma “pregare per”, intercedere, significa fare un passo per assumere meglio e più responsabilmente una situazione, fino a interporsi tra il male e il bene per far trionfare il bene. Altro che evasione!
Per questo il cristiano accompagna la preghiera anche con il digiuno, strumento di partecipazione del corpo alle istanze dello spirito, luogo di discernimento degli appetiti e segno di una rinuncia al cibo come occasione di condivisione con gli altri di quanto ci fa vivere: il digiuno è espressione della volontà e del desiderio di “viverecongli altri”, non senza gli altri né, tantomeno, contro gli altri, fino a condividere quanto è necessario per vivere. Fermarsi in silenzio, sperimentare con le fibre del nostro corpo la carenza di cibo quotidiano, interrogarsi su cosa alimenta le nostre ragioni di vita è operazione carica di fecondità e di forza. Gesù non ha forse detto che certi demoni si vincono solo con la preghiera e il digiuno? La guerra è uno di questi demoni! Sì, la preghiera dei cristiani in questi giorni è quella dei monaci martiri di Tibhirine in Algeria: “Signore, disarmali, Signore disarmaci!”
Enzo Bianchi