
10 ottobre 2002
Una lettura del concilio, evento che ha preso avvio 40 anni fa, richiede un’osservazione preliminare: chi lo ha vissuto in prima persona non è più protagonista nella vita della chiesa (l’unico vescovo che vi ha partecipato e non è emerito è Giovanni Paolo II) mentre chi ne è stato testimone consapevole vive ormai l’età dell’anzianità. Ma proprio per questo, per la trasmissione della memoria di un evento che dal 1985 il papa continua a designare come “la grazia più grande fatta da Dio alla chiesa del XX secolo ... l’evento ecclesiale più significativo e determinante”, occorre ricordarlo. Sì, ormai la stragrande maggioranza dei cristiani non ha conosciuto quell’ora che fu una “novella pentecoste”, ma il concilio resta ancora da attuare pienamente, secondo il giudizio stesso di chi ne è stato protagonista: nella Novo Millennio IneunteGiovanni Paolo II chiede a tutte le chiese locali di interrogarsi sulla ricezione del concilio e di ritornare ai testi emanati dall’assise ecumenica, in modo da conoscerli e assimilarli.
E se è vero che il concilio deve ancora essere recepito adeguatamente, occorre però anche leggere con oggettività e soprattutto con uno spirito di ringraziamento il cammino che da allora la chiesa ha già percorso. Solo chi ha vissuto con consapevolezza la chiesa negli anni precedenti al concilio sa misurarne il cambiamento. La vicenda cristiana è un “ricominciare” sempre, nella vita del singolo cristiano come nella vita della chiesa: mutamento quindi non significa – come osava dire il beato Giovanni XXIII – che il Vangelo cambia, ma che siamo noi, la chiesa, a comprenderlo sempre meglio.
Molti restano anche oggi coloro che piangono sulla situazione della chiesa e vedono segni di disfacimento e di crisi (novelli “profeti di sventura”), ma in realtà la chiesa è viva più che mai, il Vangelo è centrale per la vita delle singole chiese, è canone e regola del vivere cristiano, ispiratore di sequela di Cristo per molti fedeli, non solo per quanti nella chiesa esercitano un ministero o una diaconia. Basterebbe pensare alla qualità della fede di molti cristiani quotidiani, alla consapevolezza della chiamata universale alla santità cristiana, alla presenza della parola di Dio che plasma un nuovo volto per le comunità ecclesiali, alla capacità di dialogo che la chiesa ha acquisito nei confronti delle altre confessioni e delle altre religioni.
Nessun sentimento apologetico in questa lettura degli anni post-conciliari: permangono sempre inadempienze al Vangelo e contraddizioni in diversi ambiti e su diversi temi, ma la strada imboccata con il concilio per ora non è smentita né dimenticata. Certamente, un aspetto che attende piena realizzazione – secondo la lettura di Giovanni Paolo II stesso, di moltissimi vescovi e cristiani di ogni latitudine – è che la chiesa, scopertasi con il Vaticano II essenzialmente “comunione”, lo diventi in profondità, fino a essere “casa comune” per tutti i cristiani e, di conseguenza, scuola di comunione anche per tutti gli uomini. La sinodalità deve trovare nuove vie per esprimersi; l’unità della chiesa deve inventare strade di maggior comunione e corresponsabilità tra vescovi, presbiteri e fedeli, pur nella differenza dei doni e dei ministeri; la ricerca della verità deve sempre più manifestarsi nella dolcezza della compagnia degli uomini. Sì, va ridetto con forza, anche perché paiono già in parte dimenticati: gli orientamenti contenuti nella Novo Millennio Ineunte sono una chiara bussola per riferirsi al concilio e permettergli di ispirare ancora e con rinnovato slancio il cammino della chiesa.
Enzo Bianchi