4 settembre 2002
“Ti scongiuro… annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2Timoteo4,2): si direbbe che Giovanni Paolo II avverta come costantemente rivolta a lui e al suo ministero petrino questa esortazione che san Paolo indirizzava al discepolo Timoteo. Non c’è occasione, in questi ventiquattro anni di pontificato, che il papa non abbia colto per ripetere con forza “l’evangelo della pace”, rivolgendosi appassionatamente a capi di stato e autorità religiose, a consessi politici e istanze umanitarie. Lunedì, in una circostanza tutto sommato “ordinaria” – la presentazione delle credenziali del nuovo ambasciatore di Grecia presso la santa Sede – Giovanni Paolo II ha voluto ripetere un accorato appello “per una tregua duratura di ogni violenza”: un appello che sta tragicamente diventando quotidiano perché quotidiano si è fatto l’esercizio della violenza tra stati e tra popoli in conflitto, quotidiano si è fatto il “pensare la guerra” come soluzione di ogni problema, quotidiano si è fatto il programmare l’uccisione del nemico come scorciatoia, quasi che – per ribaltare un antico adagio – la politica sia la prosecuzione della guerra con altri mezzi. L’occasione – che alcuni troveranno magari “profana”, quindi “non opportuna” secondo la terminologia paolina – è stato il volgere lo sguardo verso le Olimpiadi che si svolgeranno ad Atene nel 2004: perché allora non augurarsi “che in un mondo travagliato e a tratti incerto questo evento sportivo sia una manifestazione gioiosa di appartenenza di tutti alla stessa comunità umana, fraterna e solidale”, perché non fare udire la propria autorevole voce affinché vi sia la “possibilità di una nuova esperienza di fraternità, per vincere l’odio e per riavvicinare le persone e i popoli”? Il papa, come già aveva fatto Kofi Annan alla vigilia delle Olimpiade invernali di Salt Lake City, ha ripreso l’antica tradizione greca che voleva, appunto, una “tregua d’armi” tra le varie città-stato in occasione dei quadriennali Giochi olimpici. Vi sarà chi troverà improprio l’appellarsi del papa a una tradizione “pagana”, ma anche san Paolo volle farsi “tutto a tutti per salvarne a ogni costo qualcuno” e concludeva: “Tutto io faccio per il vangelo” (cf. 1 Corinti 9,22). Forse ancora una volta l’appello del papa resterà inascoltato, come inascoltata rimase la sua supplica di sospendere i bombardamenti Nato sulla Jugoslavia in occasione del triduo pasquale ortodosso, come inascoltate rimasero le sue vibranti parole contro la guerra del Golfo… Ma la forza e la verità di un annuncio di pace non dipendono dall’ascolto che questo ottiene: nascono da una convinzione molto più profonda che spinge chi ha ricevuto dal Signore una vocazione profetica a non tacere – “ascoltino o non ascoltino” – perché l’istanza interiore è insopprimibile: “guai a me se non annunciassi il Vangelo” (1 Corinti9,16). Guai a noi, cristiani, se non alzassimo la voce in difesa della pace, in obbedienza al Vangelo del Signore della pace, del Signore che è la pace!
Enzo Bianchi