13 febbraio 2002
Può apparire paradossale, ma anche in una società secolarizzata come la nostra, il calendario di una serie di spensierati festeggiamenti, diventati in questi ultimi anni anche formidabili operazioni di marketing che coinvolgono masse sempre più numerose di festanti di ogni genere ed età, è tuttora determinato da una ricorrenza liturgica osservata ormai solo da un ridotto numero di cristiani: sì, ancora oggi carnevale finisce il giorno prima del “mercoledì delle ceneri” che a sua volta apre i quaranta giorni della quaresima precedenti la Pasqua. Così, pur sommerso dal frastuono che vuole convincerci che la festa deve continuare sempre e nonostante tutto, ogni anno ritorna un “tempo pieno” che i cristiani sono chiamati a vivere tutti insieme come tempo di conversione, di ritorno a Dio. Sempre i cristiani devono vivere lottando contro gli idoli seducenti, sempre è il tempo favorevole ad accogliere la grazia e la misericordia del Signore, tuttavia l’uomo ha bisogno di un tempo forte che si stacchi dal quotidiano, un tempo “altro” in cui far convergere nello sforzo di conversione le energie che ciascuno possiede. E la Chiesa – in significativa convergenza con i tempi analoghi che le altre religioni contemplano nei loro calendari, come il mese di ramadanper i musulmani e yom kippur per gli ebrei – chiede che questo sia vissuto simultaneamente da parte di tutti i fedeli, sia cioè uno sforzo compiuto “tutti insieme”, in comunione e solidarietà. Sono dunque quaranta giorni per il ritorno a Dio, per il ripudio degli idoli seducenti ma alienanti, per una maggior conoscenza di colui che è confessato come “il Signore”.
La conversione, infatti, non è un evento avvenuto una volta per tutte, ma un dinamismo che deve essere rinnovato nei diversi momenti dell’esistenza, nelle diverse età, soprattutto quando il passare del tempo può indurre nel cristiano un adattamento alla mondanità, una stanchezza, uno smarrimento del senso e del fine della propria vocazione che lo portano a vivere nella schizofrenia la propria fede. Sì, la quaresima è il tempo del ritrovamento della propria verità e autenticità, ancor prima che tempo di penitenza: non è un tempo in cui “fare” qualche particolare opera di carità o di mortificazione, ma è un tempo per ritrovare la verità del proprio essere. E a questa opera di discernimento è ordinato anche quel poco di ascesi, di digiuno e di astinenza che è sopravvissuto a un “ammodernamento” poco sapiente delle antiche pratiche penitenziali.
La quaresima riprende i quarant’anni di Israele nel deserto, guidando il credente alla conoscenza di sé: conoscenza non fatta di introspezione psicologica ma illuminata e orientata dalla parola di Dio. La quaresima riattualizza anche i quaranta giorni di Cristo nel deserto, giorni di lotta contro il tentatore combattuti con la sola arma della parola di Dio. Ed è lottando contro gli idoli che il cristiano smette di fare il male che è abituato a fare e comincia a fare il bene che non fa! Emerge così la “differenza cristiana”, ciò che costituisce il cristiano e lo rende eloquente nella compagnia degli uomini, lo abilita a mostrare l’Evangelo vissuto, fatto carne e vita.
Il mercoledì delle ceneri segna l’inizio di questo tempo propizio della quaresima ed è caratterizzato dall’imposizione di un po’ di cenere sul capo di ogni cristiano. Gesto forse desueto oggi, ma ricco di simbologia che affonda le radici nell’Antico Testamento e nella tradizione ebraica: cospargersi il capo di cenere è segno di penitenza, di volontà di cambiamento attraverso la prova, il crogiolo, il fuoco purificatore. La cenere, inoltre, costituisce un rimando alla condizione del corpo umano che, dopo la morte, si decompone e diventa polvere: sì, come un albero rigoglioso, una volta abbattuto e bruciato, diventa cenere, così accade al nostro corpo tornato alla terra.
Un tempo nel rito dell’imposizione delle ceneri si ricordava al cristiano innanzitutto questa condizione di essere vivente tratto dalla terra e che alla terra ritorna, secondo la parola del Signore detta ad Adamo. Oggi le parole che accompagnano il rito riecheggiano l’invito fatto dal Battista e da Gesù stesso all’inizio della loro predicazione: “Convertitevi e credete all’Evangelo”... Sì, per i cristiani ricevere le ceneri significa prendere coscienza che il fuoco dell’amore di Dio consuma il peccato; accogliere le ceneri sul capo o nelle mani significa percepire che il peso dei peccati, consumati dalla misericordia di Dio, è “poco peso”; guardare quelle ceneri significa riconfermare la fede pasquale, la promessa di resurrezione che attende ogni carne. Nel vivere il mercoledì delle ceneri i cristiani non fanno altro che riaffermare e annunciare agli uomini e alle donne in mezzo ai quali vivono la fede in Cristo che ha riconciliato l’umanità con Dio, la speranza di essere un giorno risuscitati con Cristo per la vita eterna, la vocazione alla carità che non avrà mai fine.
Enzo Bianchi