Pubblicato su: Vita Pastorale - Dove va la chiesa - Novembre 2020
di ENZO BIANCHI
Nelle nostre ultime riflessioni mensili su queste colonne abbiamo meditato sulla crisi che il cristianesimo attraversa in Occidente, abbiamo rilevato con grande preoccupazione il venir meno della forza propulsiva del messaggio cristiano e abbiamo delineato l'esclusione sempre più attestata della presenza cristiana nella nostra società dell'indifferenza.
Accanto a queste letture ansiose della "crisi" vi è però la ricerca del "cosa fare" e la sollecitudine per il Vangelo da parte di quanti ancora aderiscono a esso come al fondamento del loro vivere e del loro operare. Occorre riconoscerlo con onestà: abbiamo alle spalle decenni che non sono affatto un deserto. Dal Concilio in poi, infatti, le Chiese hanno faticato, lavorato per l'evangelizzazione e lo sviluppo adulto della fede cristiana; bisogna ammettere che, pur in mezzo a contraddizioni, ritardi, a volte vere e proprie regressioni, non si è restati inoperosi né tanto meno ci si è comportati da nemici del Vangelo.
Tuttavia i frutti sono pochi, dobbiamo constatare una sterilità della vita ecclesiale che ci ha portati a una situazione ormai di diaspora, più che di minoranza. Le primavere che abbiamo sperato e visto arrivare sono state presto arrestate da gelate repentine e oggi nella Chiesa si respira un clima spesso stanco, senza dinamica e a volte avvelenato da contese, divisioni, esclusioni, calunnie e guerre fratricide. Ritorna sempre d'attualità l'invocazione che la Bibbia ci fa elevare al Signore: «Convertici e noi ci convertiremo!», così come risuona l'interrogativo: che fare? All'ordine del giorno vi sono molti temi che richiedono urgenti soluzioni perché vi sia un futuro per la Chiesa: la sinodalità, la presenza della donna nelle Chiese, il ministero ordinato e altri ministeri, il loro rapporto con il sacerdozio del popolo di Dio, la liturgia e la sua ritualità... Tutti temi strettamente connessi tra loro, che non possono trovare una soluzione senza una riforma spirituale e della forma vitae ecclesiale.
Vorrei dunque mettere in rilievo semplicemente tre istanze preliminari affinché si possano poi percorrere strade e itinerari di riforma. Vorrei cioè rispondere alla domanda: che fare?, formulata oggi da una semplice comunità, da un gruppo ecclesiale, da una parrocchia, cercando in tal modo di immaginare la Chiesa.
Potrà sembrare scontato, ma la prima istanza è quella di essere una Chiesa dell'ascolto. Non si dimentichi che il momento originario e generativo della comunità cristiana è, per l'appunto, l'ascolto: ascolto della parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture e proclamata nella potenza dello Spirito Santo; ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese qui e ora; ascolto reciproco tra fratelli e sorelle che formano una medesima assemblea chiamata a diventare un solo corpo, il corpo di Cristo. L'ascolto è decisivo, ma in realtà oggi è ciò che più manca nella vita del mondo e nella stessa vita della Chiesa. Solo l'ascolto può restituire centralità ed egemonia al Vangelo nella vita dei credenti e delle comunità cristiane: è così che il Vangelo diventa la notizia buona e bella capace di far ardere il cuore, intrigare, chiamare, destare fede-fiducia in chi lo ascolta. Solo una Chiesa dell'ascolto riceve la linfa vitale dal suo Signore e vive della comunione con lui. Ma l'ascolto della parola di Dio spinge e abilita necessariamente all'ascolto degli altri, fratelli e sorelle, che sono la Chiesa: ascolto reciproco, in cui ciascuno ha qualcosa da imparare, dal semplice battezzato, al vescovo, al papa. Ascolto dunque anche del mondo, dell'umanità di cui facciamo parte e in mezzo alla quale siamo posti. Se vi è questo ascolto, allora è possibile percorrere le vie della fraternità e della sororità senza confini e con orizzonti universali, imparando la grammatica del camminare insieme, della sinodalità.
E attenzione: parlare di "sinodalità" nella vita ecclesiale non significa innanzitutto rimandare a un'istituzione, ma a un modo peculiare di vivere da parte della Chiesa. Solo una Chiesa che sa ascoltare saprà essere sinodale, altrimenti sarà unicamente caratterizzata da qualche organo burocratico in più. La seconda istanza riguarda una qualità ecclesiale che non emerge a sufficienza, neanche in una Chiesa come quella odierna che spende tante energie e dà grande testimonianza nell'accoglienza degli stranieri. È l'istanza di una Chiesa ospitale non solo nel mettere in atto azioni di carità ma nella pratica dell'accoglienza quotidiana nella vita ecclesiale e nella liturgia.
Al riguardo occorre una conversione: la Chiesa non deve solo dare ospitalità ma cercare e chiedere ospitalità, offrendo la sua presenza gratuita come un dono in mezzo agli uomini e alle donne non cristiani, in mezzo a questo mondo indifferente. Le nostre comunità, peraltro attive nella carità, restano ancora troppo delimitate e chiuse, comunità di cattolici praticanti con tentazioni esclusiviste.
Occorre invece aprire i nostri spazi, allargare le nostre tende e invitare tutti a venire, per poterci dire fratelli e sorelle insieme, per offrirci reciprocamente la presenza senza strategie di conversione e tantomeno di crescita della comunità cristiana: ecco dunque una "Chiesa che si fa conversazione" (Paolo VI), che cammina con gli umani, che è sollecita alla vita bella e buona degli uomini e delle donne, per custodire insieme questa nostra terra. Che meraviglia, che stupore e che fraternità si riescono a vivere in quelle parrocchie nelle quali, dopo la liturgia eucaristica, sul sagrato della chiesa o in qualche sala attigua ci si incontra, ci si saluta, ci si guarda negli occhi. Sì, la chiesa è chiamata a diventare comunità ospitale in un mondo sempre meno ospitale. Proprio ciò che non è più praticato dagli altri, ed è però umanissimo, deve essere recuperato dai cristiani.
Infine la terza istanza — e non si pensi che lo sia in ordine di importanza — è la dimensione ecumenica. Con l'inizio del ministero di Francesco abbiamo registrato con gioia una serie di gesti ecumenici e di parole profetiche che parevano una promessa di passi verso l'unità. Ma ora tutto è fermo e l'ecumenismo sembra non attrarre più l'attenzione delle Chiese, che accettano supinamente quest'ora di gravi tensioni tra di loro e di paralisi del dialogo. Va però detto con chiarezza: senza l'unità dei credenti in Cristo non solo permane lo scandalo della divisione, ma le logiche della tribù e del confessionalismo impediscono lo scambio e l'aiuto reciproco in vista di una riforma, inibiscono il confronto che vive della diversità riconosciuta e riconciliata.
L'unità non la troveremo al termine di dialoghi dottrinali lenti e sfiancanti, ma grazie a incontri e ad azioni intraprese insieme. Il divieto di ospitalità eucaristica, finora sempre confermato, aumenta la diffidenza degli uni verso gli altri, e così ogni Chiesa fa il suo cammino come se le altre non esistessero. Ma questo è disastroso, oltre che antievangelico! Siamo in diaspora, siamo minoranza all'interno di una marea di indifferenti, eppure il Vangelo non ha perso la sua potenza: siamo noi che, seppellendolo di cenere, gli impediamo di ardere come fuoco portato da Gesù sulla terra.