Pubblicato su: Jesus, La bisaccia del mendicante
Febbraio 2021
di Enzo Bianchi
Quando ero giovane, nella mia bisaccia ho messo una speranza che in certi momenti è sembrata diventare una certezza: l’unità visibile dei cristiani. Purtroppo, ora che sono vecchio e ormai alle soglie della partenza, con molto rincrescimento prendo atto che questa speranza non è più un traguardo per molte Chiese e molti cristiani. Il dialogo tra le Chiese che sembrava acquisito appare fragile, spesso contraddetto da eventi, tensioni, rotture e tentazioni scismatiche, quando non addirittura sconfessato dall’indifferenza e dal disinteresse, come se fosse un tema cristiano periferico. Anche all’interno di ciascuna Chiesa si registrano sempre di più polarizzazioni esasperate che si delegittimano, fino a creare situazioni di fatto scismatiche, anche se non proclamate. La fiamma di quel fuoco dell’ecumenismo che ha segnato gli anni del Concilio e del post-concilio si è indebolita, mentre si è imposto un cinismo che proclama l’impossibilità o la non necessità della comunione visibile tra i battezzati.
Che ne è dunque, mi chiedo, della preghiera di Gesù per l’unità dei credenti in lui? In questi anni di dialogo e di relazioni l’ecumenismo si è progressivamente burocratizzato, ha assunto stili segnati da cortesia e gentilezza reciproca, ma è venuta a mancare la convergenza verso l’obiettivo unico e proprio del dialogo ecumenico. Ogni Chiesa, compresa quella cattolica, fa il suo cammino senza tenere conto delle altre, senza cercare una sinergia con le Chiese sorelle nelle decisioni ecclesiali e nelle iniziative spirituali.
C’e collaborazione solo a livello di servizio verso i poveri e gli ultimi, in molti progetti umanitari, senza però l’ansia di essere visibilmente un solo corpo, il corpo di Cristo nella e in mezzo all’umanità. Papa Francesco continua certamente il suo impegno personale di dialogo e incontro delle altre Chiese. Ma anche questo sforzo non ha purtroppo ricadute ecclesiali visibili.
Dobbiamo constatare un egoismo ecclesiale che induce a percorrere cammini senza tenere conto delle altre Chiese o addirittura inasprisce spinte di indurimento identitario confessionale. Ci si rifugia nella formula “ecumenismo spirituale”, che in realtà non chiede un vero cambiamento della forma della Chiesa: cambiamento che invece è essenziale, se le Chiese vogliono essere obbedienti al Vangelo, per vivere un’autentica unità. Così oggi l’ecumenismo soffre di astenia e si trova in una sorta di vicolo cieco.
È però in atto una realtà che non va sottovalutata: il martirio vissuto in tante terre da cristiani appartenenti a Chiese diverse, tutti testimoni di Cristo nel sangue. In essi la comunione ecclesiale è già perfetta, in quanto testimoniano che i muri confessionali che ci separano non arrivano fino al cielo. Per questo si può parlare di “ecumenismo dei martiri” e porci con papa Francesco la domanda cruciale: «Se il nemico ci unisce nella morte, chi siamo noi per restare divisi nella vita?» (Discorso del 3 luglio 2015 al movimento del Rinnovamento nello Spirito). Quanta nobis est via? Quanta strada dobbiamo ancora percorrere? Non rispondiamo, accontentandoci: «Lo Spirito lo sa». Cerchiamo, piuttosto, con creatività modi e azioni per ritrovare l’unità perduta, per camminare insieme, per essere più fedeli a Cristo e al suo Vangelo.
E chiediamocelo con onestà: se non sappiamo vivere la comunione tra noi cristiani, come possiamo invitare alla comunione, alla riconciliazione e al perdono gli uomini e le donne insieme ai quali viviamo?