La Repubblica - 22 marzo 2021
di Enzo Bianchi
«Ascolta! Ti chiedo solo di ascoltarmi!»: quante volte queste parole risuonano nel nostro quotidiano come un grido, una richiesta sofferta… È proprio così: ascoltare sembra un’operazione abituale, quasi banale, eppure il vero ascolto dell’altro è raro e difficile. Immersi come siamo dal mattino alla sera in rumori di vario tipo, sollecitati da messaggi multiformi, non conosciamo più il silenzio come ambiente e, di conseguenza, ignoriamo anche l’autentico ascolto dell’altro. Non pratichiamo l’arte dell’ascolto ma, per lo più, subiamo l’ascolto come una pratica fastidiosa; al contrario, siamo sempre pronti a parlare, a riversare i nostri confusi bisogni su chi si trovi a portata di voce. Ammettiamolo onestamente: quando l’altro ci parla, sovente pensiamo meno ad ascoltare che a rispondere, quasi impazienti di riprendere la parola per essere ascoltati… Byung-Chul Han in un recente saggio ha scritto che in futuro ci sarà una professione chiamata dell’ascoltatore. Qualcuno che, dietro pagamento, dedicherà ascolto all’altro non essendoci più nessuno disposto ad ascoltare.
Ma che cosa significa ascoltare? Innanzitutto significa accettare in profondità di sacrificare ciò che ci pare sempre più prezioso: il tempo. Occorre tempo per ascoltare, un tempo vissuto senza fretta, senza angoscia; occorre la consapevolezza che si deve decidere di ascoltare. E non lo si dimentichi: «avere tempo» significa scegliere di non avere tempo per tutto, di non avere tempo per altre cose, ma per dedicarsi all’ascolto. D’altronde, l’ascolto è la prima forma di rispetto e di attenzione verso l’altro, la prima modalità di accoglienza della sua presenza. Sappiamo per esperienza che l’altro non sempre pronuncia parole di reale interesse, che l’altro spesso chiacchiera o parla a se stesso. Ma se è vero che l’ascolto esige sforzo e pazienza, lo è altrettanto che solo un vero ascolto sa discernere e trarre lezioni anche da dialoghi penosi… Ascoltare significa dunque essere attenti, accogliere le parole di chi ci sta di fronte ma anche, più in profondità, tentare di ascoltare ciò che egli vuole comunicare: per questo è necessario impegnarsi a cogliere anche il suo «non detto», ciò che egli sottintende o addirittura nasconde. Solo attraverso questo quotidiano esercizio si può giungere a una comunicazione vera; altrimenti, a dispetto di tutte le parole dette, non accade un vero ascolto. In breve: solo un ascolto autentico fa esistere l’altro!
Accanto all’ascolto dell’altro vi è un’arte ancora più difficile: l’ascolto di se stessi. Che si tratti di un’operazione non immediata, lo dimostra il fatto che molte persone non riescono neppure ad ascoltare le informazioni e i messaggi che ricevono dal proprio corpo. Ciò vale anche per l’ascolto del proprio profondo, «lavoro» indispensabile per una vera vita interiore: senza questo ascolto della coscienza, del «maestro interiore» – come lo chiamava Agostino –, non è possibile alcuna umanizzazione. Si tratta dunque di ascoltare le «intuizioni» che provengono dal nostro profondo, di cogliere delle «parole» che emergono dal mistero del proprio «uomo nascosto del cuore».