Una raccolta di omelie e testi sul Mistero della Resurrezione di don Michele Do, fra i maestri del cattolicesimo italiano del ’900. Nella rettoria di Saint Jacques a Champoluc viveva il Vangelo in radicalità e accoglieva «cercatori di Dio», religiosi e laici: da padre Davide M. Turoldo a Olivetti.
La Stampa - Tuttolibri - 27/03/2021
di Enzo Bianchi
«Nulla è mai definitivamente perduto, nulla è mai definitivamente chiuso, non c’è mai un troppo tardi nella luce del Vangelo», così scrive don Michele Do in Di cominciamento in cominciamento, raccolta di omelie e testi, a cura di Silvana Molina e Piero Racca, che vanno direttamente alla parola più importante del cristianesimo, quella sul mistero della morte e della vita alla luce della Pasqua di Gesù Cristo. Il titolo è tratto da una celebre frase di Gregorio di Nissa con la quale Do ricorda che la vita dell’uomo va di inizi in inizi attraverso inizi che non hanno mai fine.
Chi non conosce don Michele Do ignora una delle figure più significative del cattolicesimo italiano contemporaneo. Certamente una figura «minore» come del resto lo è ad esempio sorella Maria di Campello, sua grande amica. Figure di cui i libri di storia non parleranno ma che tuttavia con le loro vicende personali, le atipiche scelte di vita e le relazioni inimmaginabili, di quella stessa storia hanno tessuto la trama con fili sottili eppure vigorosi.
Michele Do nasce a Canale d’Alba il 13 aprile 1918. Gli studi all’università Gregoriana di Roma sono segnati dagli incontri con i protagonisti delle nuove idee della teologia. Dopo gli anni della guerra e della resistenza partigiana, nel 1945 si ritira a Champoluc in Valle d’Aosta per, come dirà al suo vescovo, ripensare il messaggio del Vangelo e viverlo in semplicità e radicalità. Con una parola decisa e franca, don Michele è maestro nel coniugare le inquietudini del cristianesimo postconciliare e quelle più vive e profonde del cuore umano. Do allaccia profonde relazioni con alcune delle figure più significative del suo tempo, tra le quali sorella Maria di Campello, Primo Mazzolari, Giovanni Vannucci, David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, Raimon Panikkar, ai quali si aggiungono laici come Adriano Olivetti e Alessandro Galante Garrone. Anch’io ho avuto il privilegio di essergli amico fin dal 1966 quand’ero studente, venne nella mia abitazione in via Piave a Torino il giorno in cui il priore di Taizé Roger Schutz incontrò il nostro gruppo ecumenico.
Negli anni ho poi frequentato assiduamente Saint Jacques, così come lui mi visitava spesso a Bose fino a poco prima della sua morte, avvenuta il 12 novembre 2005. Da allora l’Associazione Il campo, diretta da don Piero Racca, ne custodisce fedelmente la memoria e cura la pubblicazione dei suoi testi.
Se il messaggio cristiano ai più appare oggi afono è perché si rivela incapace di rendere credibile all’uomo e alla donna contemporanei il suo centro, cioè l’Evangelo della risurrezione. Il valore di Di cominciamento in cominciamento è dato dalla domanda che lo attraversa dall’inizio alla fine: cos’è la risurrezione? Nella splendida prefazione Giannino Piana coglie l’essenziale quando osserva che la densità spirituale di queste pagine non è dovuta solo alla ricchezza dei contenuti ma anche alla freschezza di un linguaggio evocativo. Ed ecco allora che don Michele Do ricorda che credere nella risurrezione significa credere che non c’è nulla di definitivamente perduto: «non possiamo mai dire davanti a nessuna vita, a nessuna creatura, anche la più degradata, non possiamo mai dire tutto è perduto. Non c’è mai un troppo tardi di fronte alle sfide della vita. Non possiamo dare un giudizio definitivo, perché non c’è mai un troppo tardi».
Nell’omelia di una delle sue ultime pasque, quella del 2000, confidava: «il dono più bello, nelle ultime luci del tramonto, della mia ormai lunghissima vita, che mi dà il senso che la vita non può chiudersi con la morte, ma è oltre, va oltre, e che nella decadenza della mia senilità le memorie autentiche, quelle grandi, della mia vita, non si spengono, non sono dipinti che vanno sbiadendo, ma sono come sementi nel solco del mio cuore: crescono». Parole ispirate di un uomo che tuttavia confessava: «ho un rimpianto grande nella vita, di non essere poeta, perché davvero certe cose solo la poesia le può dire».
Questa l’eredità spirituale di don Michele Do, un cristiano che con una intelligenza non arrogante ma sempre riverente di fronte al mistero della vita, si è continuamente domandato se è possibile per noi avere un’esperienza di risurrezione. È a noi che consegna la risposta: «cerchiamo nella vita di fare cose che meritino di non morire».
Chi è interessato può riceverne copia, offerta libera, scrivendo a ilcampo.alba@tiscali.it