Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Anche la chiesa impari dalle crisi

10/05/2021 15:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2021,

Anche la chiesa impari dalle crisi

La Repubblica

La Repubblica - 10 maggio 2021

 

di Enzo Bianchi

Più che mai, in questo tempo della pandemia, ci si interroga sulla crisi della chiesa che si mostra sempre più evidente nel nostro paese. Avevamo subito compreso che la pandemia sarebbe diventata un’occasione di “apocalisse”, nel senso proprio del termine, cioè di “rivelazione” anche per la vita cristiana, che non poteva non esserne scossa, mutata e destabilizzata in molte sue forme, nei suoi riti e nella sua presenza nella società.

 

Fino a dieci anni fa molte erano le voci che illudevano la chiesa italiana lodandone la qualità popolare, lo spessore della tradizione, la rilevanza della sua presenza e l’organizzazione efficace. Chi osava contraddire tali illusioni era giudicato profeta di sventura. E invece adesso? Anche i sociologi di corte constatano il grande affanno “pastorale”, obbligati ad ammettere che la diminuzione di preti, la scomparsa delle religiose, l’esiguità delle vocazioni monastiche rendono precarie molte forme di presenza e di attività ecclesiali. E poi la realtà è aggravata dalla stanchezza, dall’inerzia e dalla mancanza di pensiero che dominano nel popolo cristiano. Si costata oggi che per uscire dalla crisi pandemica occorre che le donne e giovani, oggi i più penalizzati, possano emergere quali veri soggetti della società futura. Ebbene, proprio le donne e i giovani sono la parte che manca nella chiesa, o perché sono fuggiti o perché non entrano più.

 

Purtroppo non si ha il coraggio di dirlo, ma il problema alla radice sta nella debolezza della fede. La crisi attuale è innanzitutto crisi di fede perché è venuta a mancare la proposizione di quel nucleo incandescente del cristianesimo che è il suo specifico rispetto alle altre religioni e alle altre spiritualità: l’annuncio della resurrezione di Gesù Cristo e ciò che ne consegue che è la liberazione dalla morte. All’indomani del concilio eravamo in pochi che, pur accogliendo quell’evento come la “grande grazia”, mettevamo in guardia dal finire per organizzare ogni discorso, ogni sforzo, ogni impegno attorno alla chiesa. Ma proprio questo è avvenuto: la chiesa al centro di tutto, e quindi la ricerca di efficacia, la missione o evangelizzazione delineata sempre a partire dalle sue urgenze. E di conseguenza l’attenzione e l’impegno incentrato sulle “opere” della chiesa, sull’organizzazione della carità, sulla dottrina sociale, e su una morale che non lascia molto spazio alla libertà dei figli di Dio, tanto cara alla prima generazione cristiana e all’apostolo Paolo.

 

Adesso all’orizzonte appare il sinodo per l’Italia, diverse volte invocato ma di fatto “oggetto misterioso”, sia per le modalità che dovrebbe assumere, sia per i tempi del suo svolgimento. Sinodalità significa cambio, mutamento profondo nella vita ecclesiale, significa assumere un modo di vivere e decidere insieme quasi mai praticato nella chiesa cattolica, che se lo adottasse veramente vedrebbe rinnegata la forma del suo millenario cattolicesimo per una conversione ecumenica da farsi con le altre chiese e non da sola: una sinodalità che non metta al centro la chiesa ma l’umanità che nell’uomo-Dio, Cristo, pone la sua speranza.

 

Il grande teologo mio amico Jean Marie Tillard si domandava: “Siamo gli ultimi cristiani?”. La domanda me la faccio anch’io oggi, memore delle parole di ieri: “Cristo, quando tornerà, troverà la fede sulla terra?”.