di Paolo De Benedetti
Un discorso sugli animali e sul loro rapporto con l'uomo richiede, in primo luogo, una fondamentale precisazione. Infatti sono animali tutti gli esseri che hanno un'"anima", nel senso di "vita": dalla pulce all'uomo. Ma per consuetudine intendiamo per "animali" solo, o principalmente, gli esseri viventi che vengono spesso definiti "superiori", cioè quelli con cui l'uomo può avere un rapporto. Un rapporto di governo, di collaborazione, di reciproco timore o amore. Ma leggiamo come la Bibbia, in Gen 1,20-25 descrive la creazione degli animali:
«Dio disse: "Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo". Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra". E fu sera e fu mattina: quinto giorno. Dio disse: "La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie". E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie. E tutti i rettili del mondo secondo la loro specie e Dio vide che era cosa buona».
È importante notare che tutte queste creature sono "cosa buona" mentre, nel successivo racconto della creazione dell'uomo, queste parole non sono dette. È troppo facile spiegare tale diversità solo riferendosi alla "libertà" umana di peccare, come è assurdo attribuire - come fece Cartesio - l'innocenza animale a "meccanicismo" dell'animale. In realtà la Bibbia ci insegna, con precetti e immagini, che anche gli animali sono il nostro prossimo. E anche di più: infatti è in un animale, l'Agnello di Dio, che noi vediamo incarnato (e anche immolato) il Figlio di Dio. E il Buon Pastore è un'immagine di Dio che presuppone l'identificazione - in senso amorevole - dell'uomo con la pecora. Ma, nello sterminato mondo animale, sono soprattutto gli uccelli e i mammiferi quelli che noi giustamente dovremmo chiamare, come è stato scritto, "i nostri fratelli minori". Un rapporto in cui sottomissione e timore si intrecciano con devozione e amore. Un amore che può portare l'animale fino alla morte.
Leggiamo due testi: il primo, dal canto 17 dell'Odissea, narra la morte di Argo, il cane di Ulisse, che egli ritrova dopo la sua lunghissima assenza:
Così essi tali parole fra loro dicevano
e un cane, sdraiato là, rizzò muso e orecchie.
Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno
lo nutrì di sua mano (ma non doveva goderne), prima che per Ilio sacra
partisse; e in passato lo conducevano i giovani
a caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri;
ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone,
sul molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte
ammucchiavano, perché poi lo portassero
i servi a concimare il grande terreno d'Odisseo;
là giaceva il cane Argo, pieno di zecche.
Allora, come sentì vicino Odisseo;
mosse la coda, abbassò le due orecchie,
ma non poté correre incontro al padrone.
Il padrone voltandosi, si terse una lagrima...
Argo là Moira di nera morte afferrò
appena rivisto Odisseo, dopo vent'anni" (Versione di Rosa Calzecchi Onesti).
Il secondo testo è il finale di un libro di Juan Ramón Jiménez, intitolato Platero e io (Passigli Editore, Firenze 1998). Sono le parole che il padrone rivolge al suo asinello morto:
«Platero, vero che non vedi? Sì, tu mi vedi. E io sento nel ponente specchiato il tuo tenero raglio doloroso che addolcisce tutta la valle delle vigne... "Amico Platero! - gli dissi verso la terra - se, come penso, adesso sei in un prato del cielo e porti sul tuo dorso peloso gli angeli adolescenti, mi hai forse dimenticato? Dimmi, Platero, ti ricordi ancora di me? E come rispondesse alle mie domande, una leggera farfalla bianca, che prima non avevo visto, volava con insistenza, come un'anima, da giglio a giglio...»".
Questi due testi rappresentano, in modo sublime, il rapporto animale-uomo e uomo-animale. Non dobbiamo mai dimenticare la reciprocità che ci unisce ai nostri fratelli minori, e che, mentre l'uomo la esprime con la parola e con il gesto, l'animale esprime, a seconda della sua specie, con tanti segni: la coda e la lingua del cane, le fusa del gatto, il nitrito del cavallo, il pigolio dell'uccello. Proprio a questo proposito vorrei ricordare che tanti anni fa avevamo raccolto uno stornello nato da poco. Cresciuto con noi, ci faceva compagnia girando per casa, stando sul tavolo su un piccolo trespolo, venendoci a cercare per le stanze. Aveva imparato molte parole (gli stornelli possono) e talvolta, addormentandosi sul trespolo, parlava in sogno; altre volte, avvicinandosi alla scodella della gatta, le tirava le orecchie o le dava un colpetto sul naso per derubarla. Un giorno bevve da un nostro bicchiere un po' di spumante e allora perse l'equilibrio e andò a smaltire l'ebbrezza sotto una credenza.
Nella Bibbia questa amicizia tra uomo e animale, anche oggi spesso violata atrocemente dall'uomo in tante forme, trova la sua fondazione nell'alleanza di Dio con gli animali, che è presentata come la restaurazione messianica:
"In quel tempo farò per loro un'alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo, arco e spada e guerra eliminerò dal paese; e li farò riposare tranquilli" (Osea 2,20). "Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme, e fanciullo li guiderà" (Isaia 11,16).
Quest'alleanza è diventata, dopo il diluvio, un impegno perenne per Dio, custodito per sempre nella sua memoria:
"Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l'arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne" (Gen 9,12-15).
Se l'arcobaleno è un promemoria per Dio, è anche un promemoria per noi: ci insegna che tutti gli animali sono alleati con Dio. Perciò non solo l'asina di Balaam (Numeri 12), ma anche lo sguardo del nostro cane, le fusa del nostro gatto, il cinguettio di un passero (ricordiamo la poesia di Catullo per la morte del passero della sua amata), ci fanno rivivere quest'alleanza con ogni essere umano, e vincono e ci aiutano a vincere la solitudine che talvolta la città degli uomini ci impone.