Pubblicato su: Vita Pastorale rubrica Il Cristianesimo non fa che rinascere
Agosto- Settembre 2021
di Enzo Bianchi
Alla fine del 1967, nel primo dopoconcilio, un gesuita, François Roustang, pubblicava un articolo che incendiava lettori e rivista, causando le sue dimissioni da direttore di Études. L'articolo, ripubblicato cinquant'anni dopo da Odile Jacob, era intitolato Le troisième homme, e delineava come emergenti dal Concilio tre figure: un cattolico conservatore, reticente; un cristiano conquistato dalla riforma conciliare, e un "terzo uomo" inedito e inaspettato, un semplice cristiano, convinto discepolo di Gesù, certo, capace di essere soggetto adulto, nella Chiesa ma senza voler essere gregario o militante ecclesiale.
Oggi, dopo tanti cambiamenti sociali, culturali ed ecclesiali, possiamo delineare con maggior precisione il ritratto di questi cattolici e valutarne la situazione. Il "primo uomo", cioè il cattolico legato alla tradizione, è arrivato alla rottura dello scisma con la fazione legata al vescovo Lefebvre. Ma, in porzione non trascurabile, continua a essere presente ed eloquente anche all'interno della Chiesa. Porzione che anzi è certamente cresciuta, avendo ottenuto una legittimazione per quanto riguarda la conservazione del rito liturgico preconciliare nella celebrazione eucaristica e di tutti i sacramenti. Soprattutto dopo il Motu proprio Summorum pontificum, emanato da Benedetto XVI nel 2007, si è attestata ed estesa questa porzione ecclesiale che annovera monasteri ferventi e fecondi di vocazioni, e può contare su un numero considerevole di ordinazioni presbiterali (circa una cinquantina all'anno).
Questo cattolico conservatore e tradizionalista oggi teme la limitazione attuata da papa Francesco alla libertà sancita da Benedetto XVI. Ma, in ogni caso, non mostra certo segni di prossima estinzione. Mantiene una forte convinzione e resiste a ogni tentativo di "aggiornamento" o di rinnovamento non solo della liturgia ma anche della pastorale, invocando il principio enunciato da Benedetto XVI in un discorso ai vescovi francesi: «Nella Chiesa c'è posto per tutti!».
Quanto al "secondo uomo", il cattolico convinto della grazia del Concilio e della riforma avviata con Paolo VI, va detto che appartiene a una generazione in parte scomparsa per motivi anagrafici: sono rimasti solo quelli che, nella stagione conciliare, erano "giovani".
Oggi sono molto spenti, non sono più i protagonisti attivi delle comunità postconciliari. E la loro voce nella Chiesa è poco percettibile e, peraltro, differenziata. Alcuni — pochi per la verità — sono ancora capaci di contestazione e di manifestare insoddisfazione di fronte a fatti e parole non aderenti allo spirito del Vaticano II. Ma la maggior parte degli altri arriva a definirsi "gregge smarrito", si lamenta della gerarchia. E come collocazione si pone nei movimenti sempre più in diminutio soprattutto propulsiva.
Proprio da questi viene generato il "quarto uomo", un cattolico inedito ma oggi emergente e che occupa il posto tenuto anche dal "terzo uomo", rispetto al quale non è in contrapposizione ma neanche in continuità: è un soggetto che testimonia un dramma! Perché il "quarto uomo" è, innanzitutto, un cristiano disincantato. Ha vissuto la grazia di un Concilio senza anatemi e senza dogmi; un Concilio che ha mostrato una Chiesa che iniziava a mettersi in ascolto del mondo. Pieno di entusiasmo e di speranze, ha preso parte ai lavori del grande cantiere ecclesiale; ha visto e fatto discernimento di contestazioni e proteste che chiedevano un ritorno al Vangelo; ha, con fatica, dialogato con il mondo abbattendo muri e bastioni... Ma a distanza di cinquant'anni, questo "quarto uomo" accusa stanchezza, conosce il disincanto, e vede un riflusso inesorabile delle forme della Chiesa che potevano essere riformate. E, quindi, essere rinnovate. E l'uomo che comprende oggi, solo oggi, ciò che scriveva Hans Urs von Balthasar: «Nella storia della Chiesa lunghi sono gli inverni, l'estate non arriva mai ma sarà alla fine, e sulle rare primavere si abbattono gelate repentine».
Così i vecchi "demoni" dell'istituzione si riprendono i loro diritti; i nuovi movimenti ripiegano in forme di tradizionalismo; il cammino ecumenico si fa sempre più gentile ma sempre meno efficace; l'approfondimento della parola di Dio cede il posto al sacro delle apparizioni, delle guarigioni; la spiritualità si nutre di psicologismo dilettantesco; la morale della libertà cristiana si irrigidisce e diventa giustizialista. E, allora, il disincanto assale e avvelena il "quarto uomo". Egli non rigetta la Chiesa e la Chiesa non lo rigetta, ma vive etsi ecclesia non daretur, cammina nella penombra della sera e sovente conosce la notte. Mantiene un vivo amore e un forte legame con Gesù Cristo suo unico Signore, ma Dio è per lui parola ancora troppo confusa con la religione. Un Dio non confessato come incarnato, ma troppo invocato come antropomorfico. E la Chiesa è per lui un mistero che sopravvive alla Chiesa istituzione, verso la quale non sente nessuna attrazione.
E neppure le presta ascolto. Sì, il rapporto con la Chiesa istituzione segna la difficoltà, la sofferenza anche nella vita spirituale di questo cattolico.
Ho ascoltato più volte le voci non certo uguali ma convergenti nell'indicarne le patologie di cui questi cristiani si lamentano senza rabbia, senza spirito di contestazione. Che cosa dicono?
Innanzitutto, denunciano una distanza tra pastori e fedeli, soprattutto nel Nord e nel Centro Italia.
Non accusano i pastori di pigrizia, di non fare nulla per l'evangelizzazione e la carità, ma non sentono una responsabilità condivisa, la volontà di fare insieme un cammino come parrocchia. E, soprattutto, soffrono la mancanza di interpretazione del presente. E non sopportano più la stanca ripetizione di slogan ecclesiali ormai inconsistenti.
All'inizio della pandemia ho scritto chiedendo vigilanza ai pastori, perché non accettassero supinamente le decisioni della politica. E suggerendo di non sospendere con troppa facilità le liturgie nelle chiese, perché temevo una disaffezione nei confronti di quello che è il culmine e la fonte della vita cristiana. Ma, purtroppo, così è avvenuto. E, significativamente, oggi non vediamo più alla domenica lo stesso numero di fedeli in chiesa. E non è tanto una questione di numeri!
È questione di accompagnamento da parte dei pastori del loro gregge in ogni situazione della vita.
E di corresponsabilità del gregge con i pastori. Così, molti hanno sentito che la Chiesa non era capace di leggere, interpretare e discernere la presenza necessaria nell'ora della sofferenza. In tutte le chiese sono mancate parole evangeliche di fede. E molti hanno compreso che i discorsi eloquenti solo sulla situazione sociale non bastano più.
Ma siamo convinti che la crisi, il declino della Chiesa — e, va detto, del cristianesimo qui da noi — è innanzitutto crisi di fede? Che ciò che manca è proprio la "buona notizia", ciò che è "Evangelo", e non certo discorsi morali e di difesa dei valori? C'è attesa di profezia, in questo "quarto uomo", desiderio di trovare spazi in cui credere in Gesù Cristo, Signore Vivente per sempre.
Un'associazione di cattolici appena nata, Essere qui, propone e invita a «cercare le Chiese fuori dalla Chiesa»; invita a mettere un piede fuori dal recinto e a guardare a terreni che non si pensavano fruttuosi. Ma, intanto, questo "quarto uomo" quale credente si aspetti di camminare in compagnia di altri, nella luce crepuscolare. E di poter spezzare il pane alla tavola dell'amicizia dove la Vita è presente. La sua fede sarà fede notturna, nuda, attraversata da dubbi, punteggiata da domande, ma una fede umana come quella di Gesù di Nazareth. E notturna, nuda, modesta non significa debole o evanescente. Tanti credenti oggi si riconoscono in questo "quarto uomo". E la loro condizione non è certo facile, perché non è oggetto di attenzione della cura pastorale. Sono fuori dall'ovile? Non abbiano timore, perché il Pastore ha più a cuore le pecore fuori dall'ovile, quelle smarrite, che quelle che nell'ovile dormono.