La Repubblica - 25 ottobre 2021
di Enzo Bianchi
A chi mi chiede: “Qual è il primo comandamento, il più urgente?”, rispondo senza dubbi, è il comando dell’ascolto. Ascolta! Infatti sta significativamente davanti ai dieci della tradizione ebraico-cristiana, perché senza l’esercizio dell’ascolto non siamo in grado di osservare le dieci parole che facciamo risalire a Mosè.
Ascoltare, esercizio di uno dei sensi che ci accompagna fin dalla vita intrauterina, esercizio sempre in funzione, e per questo l’orecchio sta sempre aperto e non possiamo chiuderlo, come facciamo invece con gli altri orifizi del nostro corpo. È l’ascolto che ci rende capaci di parlare, è l’ascolto che ci permette di collocare l’altro e di renderlo vicino, anche se lontano, anche se invisibile, è l’ascolto che ci abilita al dia-logo, alla parola attraversata, alla relazione.
L’impressione che ci viene dal nostro vivere quotidiano è sovente disperante: sembra che soprattutto oggi ci sia un rifiuto dell’ascolto direttamente proporzionale alla voglia, alla pretesa di parlare, di intervenire, di manifestarsi. A tutti i livelli. Dalla famiglia, dove risuonano spesso le parole: “Ascolta! Mi ascolti? Non mi ascolti mai!”, alla vita della società dove il primato è dato ai rumori, alle ossessive informazioni, alle tempeste di messaggi che ci raggiungono sonoramente anche sui social.
Non c’è tempo per mettersi in ascolto, non c’è desiderio di ascoltare l’altro, e l’ascolto viene così rimosso da incombenti distrazioni e da impegni che ci chiedono di preferire l’essere attivi alla supposta passività dell’ascolto. Eppure l’ascolto non è passività, richiede un certo silenzio, un’attenzione alla parola che ci è rivolta; bisogna impegnare la mente e il cuore per ascoltare veramente.
Chi sa ascoltare è consapevole che anche la postura del suo corpo può essere disposta all’ascolto oppure negare ogni accoglienza alla parola che viene da altrove. Penso anche come in una persona che voglia custodire la vita interiore sia necessario l’ascolto del silenzio stesso, e in esso la voce delle proprie profondità, della coscienza per ogni umano, di Dio per il credente…
Ascoltare è un’operazione sempre da imparare e rinnovare, ma, lo sappiamo tutti, è faticosa! Occorre essere realisti: a volte l’ascolto dell’altro non è interessante, addirittura è noioso. L’ascolto di chi è diverso ci destabilizza e ci inquieta, l’ascolto di chi ci è nemico ci mette ansia e magari ci ferisce.
Eppure solo nell’ascolto noi accendiamo relazioni, sosteniamo storie d’amore, percorriamo cammini di tolleranza e di riconciliazione, perché l’ascolto ci decentra, l’altro che ascolto è da me incorporato, sicché l’altro in me diventa un bene che mi abita nell’intimo, più profondo in me di me stesso.
Credo abbia un qualche significato il fatto che nei giorni scorsi i politici hanno fatto sovente la promessa di ascoltare la gente, ascoltare le città che li eleggevano, e che contemporaneamente nella chiesa cattolica si sia messa in movimento per la prima volta l’iniziativa detta “sinodale” di ascoltare tutti, sì, ascoltare anche quelli che fino a ieri dovevano solo ascoltare le gerarchie e mai far ascoltare la loro voce.
Sarebbe una rivoluzione inedita quella dell’ascolto, ma è veramente urgente a tutti i livelli per una convivenza più umana e più bella.