Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Chiesa universale e chiese nazionali

19/05/2022 01:00

Adalberto Mainardi

Testi di Amici 2022,

Chiesa universale e chiese nazionali

di Adalberto Mainardi

di Adalberto Mainardi

La guerra in Ucraina è rapidamente uscita dal perimetro dei conflitti regionali per assumere i connotati di una guerra di religione. Il presidente russo cita la Scrittura per motivare l’abnegazione per la Patria in pericolo: «Nessuno ha un amore più grande che dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Il presidente americano in Polonia cita Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura!». Ma le guerre di religione non finiscono se non con la distruzione del nemico, cioè del male. I valori assoluti non ammettono negoziato. I conflitti dell’era post-secolare tendono alla guerra totale.

 

Che cosa dicono le chiese cristiane?

 

Il filo di dialogo tra il Vaticano e Mosca sembra essersi spezzato: papa Francesco e il patriarca Kirill parlano due lingue diverse. Le voci del mondo cristiano sono divise. Si è parlato di “sconfitta del vangelo” (Enzo Bianchi), di “fine dell’ecumenismo” (Alberto Melloni).

 

Il conflitto armato è stato preceduto da una dolorosa divisione tra le chiese ortodosse, che in Ucraina rappresentano oltre il 60 per cento della popolazione, suddivise in due giurisdizioni non in comunione tra loro: la Chiesa ortodossa ucraina, canonicamente parte del patriarcato di Mosca, e la Chiesa ortodossa d’Ucraina, cui il patriarcato di Costantinopoli nel 2019 ha conferito l’autocefalia, cioè la completa indipendenza canonica. Uno status non riconosciuto da Mosca, che ha interrotto la comunione eucaristica con Costantinopoli e le altre chiese che hanno riconosciuto l’autocefalia ucraina (Alessandria, Grecia, Cipro). Se il patriarca di Costantinopoli ha un primato d’onore sancito dai concili ecumenici, Mosca è la chiesa ortodossa più numerosa e ricca di mezzi. La controversia giurisdizionale sottende un conflitto per la primazia nell’ortodossia.

 

Le chiese sembrano adeguarsi a logiche geopolitiche. Le chiese ortodosse vicine a Mosca sono rimaste neutrali, senza criticare né sostenere la Russia (Antiochia, Gerusalemme, Serbia, Bulgaria, Polonia, Terre ceche e Slovacchia). Hanno energicamente condannato la guerra il Patriarca Ecumenico Bartolomeo, i patriarchi Theodoros di Alessandria, Daniel di Romania, Ilia di Georgia, l’arcivescovo Chrysostomos di Cipro, le chiese di Grecia, di Albania, la Chiesa ortodossa in America, ma anche parti importanti del Patriarcato di Mosca, come le metropolie di Lituania e Lettonia, l’Arcidiocesi delle Chiese ortodosse di tradizione russa in Europa occidentale, e soprattutto la Chiesa ortodossa ucraina: il suo primate Onufrij il giorno stesso dell’invasione russa ha chiesto al presidente della Federazione russa di porre fine a una guerra fratricida «che ripete il peccato di Caino», e «non ha giustificazione né davanti a Dio né davanti agli uomini».

 

Il patriarca di Mosca Kirill ha ripetutamente evocato una guerra di valori: «La maggior parte dei paesi del mondo sono sotto la colossale influenza di una sola forza, che oggi, purtroppo, si oppone alla forza del nostro popolo», ha sostenuto nell’omelia del 3 aprile nella nuova monumentale chiesa della Resurrezione, edificata dalle Forze Armate. Una quindicina di vescovi ucraini del patriarcato di Mosca hanno cessato di commemorare il patriarca. La chiesa ortodossa ucraina è a un passo dalla separazione da Mosca. Il 7 aprile Kirill ha rinnovato l’appello alla pace e all’unità della chiesa, attribuendo a «forze esterne» la responsabilità delle ostilità tra russi e ucraini. Eventuali sanzioni contro di lui alimenteranno questa narrativa.

 

La retorica di una guerra benedetta da Dio, perché legittimata dalla difesa dall’aggressione, affiora anche nei messaggi dell’Arcivescovo maggiore dei greco-cattolici Svjatoslav Ševčuk («La vittoria dell’Ucraina sarà la vittoria della potenza di Dio sull’insolenza dell’uomo»), e del metropolita Epifanij, primate della Chiesa ortodossa d’Ucraina («La verità è dalla nostra parte. Con l’aiuto di Dio il nemico sarà sconfitto»).

 

Chiesa e Impero

 

Dietro le contraddittorie posizioni delle chiese passa una frattura di lunga durata, che tocca il rapporto tra chiesa e potere. C’è una tensione tra l’indole universalistica del cristianesimo e la sua vocazione a incarnarsi in una cultura, in un tempo e in un luogo, a farsi storia in un popolo preciso.

 

Georges Florovsky, uno dei più influenti teologi ortodossi del XX secolo, definiva la cattolicità (universalità) della chiesa come corrispondenza al contenuto della fede, cioè adesione alla retta dottrina (orto-dossia). Ma il cristianesimo storico aveva per Florovsky solo due alternative: l’impero o il deserto. L’impero era la trasformazione cristiana di tutto il mondo abitato, cioè l’incarnazione politica dell’universalismo cristiano; il deserto era la scelta dei monaci di andare là «dove Cesare non regna», il luogo marginale della speranza cristiana spogliata del potere mondano.

 

L’ideale bizantino della “sinfonia” tra chiesa e Impero è riproposto nei “Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa” del 2000, un testo fortemente voluto dall’allora metropolita Kirill. Il documento cita la Novella VI di Giustiniano (527-565): «Il sacerdozio e l’impero sono i due più grandi doni che Dio, nella sua infinita clemenza, ha concesso ai mortali». Certo, ammette il documento, questo ideale non si è mai realizzato pienamente, ma è ad esso che s’ispira la storia russa. Dagli anni 2000 si è registrata la progressiva convergenza della chiesa russa con il potere politico sul tema dei valori tradizionali, che ha preso forma nell’ideologia transnazionale del “Mondo russo”. Una riedizione post-secolare dell’Impero ortodosso degli zar. Tuttavia sarebbe sbagliato identificare chiesa e stato russi.

 

I cinquecento firmatari dell’“Appello di presbiteri della chiesa ortodossa russa alla riconciliazione e alla fine della guerra”, quando chiedono che non siano perseguiti per legge quanti manifestano per la pace, «perché questo è il comandamento divino: Beati gli operatori di pace», si stanno implicitamente rifacendo alla Concezione sociale della Chiesa russa, che ammette la disobbedienza civile quando le leggi dello Stato contraddicono la fede cristiana (IV,9, un punto che dispiacque al Cremlino) e impegna la chiesa a un’opera di pace, ad opporsi «alla propaganda per la guerra e la violenza» (VIII,5), pur nel quadro dottrinale della “guerra giusta”.

 

Ma è forse nei Fondamenti della dottrina della Chiesa ortodossa russa sulla dignità, la libertà e i diritti dell’uomo del 2008 che appare più evidente la tensione tra una dimensione universale dei diritti e una loro declinazione legata a una nazione e una cultura. Il documento ricorda che esistono non solo i diritti individuali, ma anche quelli “collettivi”, tra i quali il diritto dei popoli alla pace (IV,9). Tuttavia sembra suggerire una gerarchia di valori, quando afferma che «la tradizione ortodossa fa risalire il patriottismo alle parole di Cristo Salvatore stesso: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13)» (III,4). Ma dare la vita non significa toglierla ad altri. La patria di un popolo può essere il nemico di un altro.

 

Desacralizzare la guerra

 

Il grande filosofo russo Vladimir Solov’ev considerava innaturale la divisione tra oriente e occidente cristiani, un’unilaterale riduzione del cristianesimo. E propose una chiesa universale unita in un nuovo impero cristiano, garantito dal potere temporale dello zar e da quello spirituale del papa (La Russia e la chiesa universale, 1889). Ma prima di morire, nel Racconto dell’Anticristo (1900), rinunciò all’utopia teocratica: si era reso conto che le chiese perseguitate dal potere totalitario avrebbero ritrovato più facilmente l’unità in Cristo.

 

Le religioni “politiche” hanno una natura coercitiva; trasformano la persona riducendola a elemento della massa; scelgono i loro profeti (Nietzsche per il nazismo; Marx, Engels e Lenin per lo stalinismo), hanno i propri martiri e definiscono i propri rituali; al contenuto teologico sostituiscono un’ideologia del sacro. Il passaggio al “mondo dopo la religione” non ha aperto uno spazio di libertà per la persona affrancandola dalle coercizioni religiose, ma ha generato un’illimitata manipolazione delle masse.

 

La parola profetica non dipende dalla capacità di trainare consenso. Il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, ormai politicamente irrilevante nella Turchia di Erdogan, ha pubblicato nel 2020 un documento sui temi sociali più consonante con la tradizione democratica: Per la vita del mondo. Verso un ethos sociale della chiesa ortodossa. «Non può esistere un nazionalismo cristiano», vi si legge, «né una qualsiasi forma di nazionalismo tollerabile alla coscienza cristiana». 

 

Il patriarca Bartolomeo ha ribadito recentemente che la guerra non è mai una soluzione, che il modo per risolvere qualsiasi controversia dovrebbe essere il dialogo e solo il dialogo: «I nostri fratelli cristiani ortodossi russi non possono essere d’accordo con quello che sta succedendo al vicino popolo ucraino». Papa Francesco annuncia di esser pronto a incontrare il presidente Putin, per il bene del popolo ucraino, per il bene del popolo russo, per il bene comune dei popoli affamati dalla guerra. Se mai avverrà, non potrà essere senza il patriarca Kirill.

 

Le chiese possono ancora osare una parola evangelica per la pace. Una parola che desacralizzi il mito della guerra giusta. È la parola che può venire dalla loro riconciliazione.