di Alberto Maggi
Nella storia dell’umanità ci sono eventi tragici che lasciano i credenti sgomenti, incapaci di trovare risposte, e in alcune persone le certezze sembrano vacillare. È lo scandalo del Dio cristiano, quello del perdono concesso sempre a tutti, quello del Cristo che sulla croce chiede al Padre di perdonare perfino chi lo ha crocifisso (Lc 23,34).
Ma come è possibile? I credenti spesso si sentono incapaci di perdonare efferati criminali e si chiedono perplessi come sia ammissibile che il loro Dio possa invece perdonarli. Ci si chiede come il Signore possa perdonare spietati assassini e non c’è bisogno di tornare indietro nella storia ai vari Hitler o Stalin (che erano cristiani), basta restare nell’attualità.
Questo perdono divino non si tramuta in un’ingiustizia? Non è un ulteriore sfregio alle vittime di questi assassini, un inutile dolore aggiunto a quanti li piangono, che vedono riaprire ferite mai rimarginate?
Il problema è mal posto.
La questione non è se Dio possa o debba perdonare i delinquenti che si sono macchiati di crimini orrendi, ma se essi siano o no capaci di accogliere il suo perdono.
Secondo la religione giudaica, i peccati potevano essere perdonati solo da Dio (Es 34,6-7; Sal 25,18) e gli uomini, per ottenere il condono delle loro colpe, dovevano passare attraverso un rituale ben preciso prescritto dalla Legge: “Il sacerdote farà per loro il rito espiatorio e sarà loro perdonato”. Poi offrivano un animale in sacrificio (Lv 4,20.26.13.35).
Gesù cambia questa prospettiva.
Nell’insegnamento e nella pratica lui concede il perdono senza esigere il pentimento, che eventualmente può essere l’effetto del perdono ricevuto. Per far comprendere questo Gesù narra la parabola del figlio scellerato, che per interesse abbandona il padre e sempre per interesse ritorna alla casa paterna (Lc 15,11-24). Quando questo giovane si ritrova di fronte il genitore, questi non lo rimprovera, ma lo bacia, segno di un perdono concesso prima ancora di essere richiesto (2 Sam 14,33). Al padre interessa il figlio, non il suo passato colpevole.
Questo perdono concesso senza esigere il pentimento del peccatore scandalizza però i religiosi del tempo, che pensano che Gesù bestemmi, come quando “gli portarono un paralitico steso sul letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: Coraggio, figliolo, ti sono cancellati i tuoi peccati” (Mt 9,2). Contrariamente alla prassi religiosa, Gesù non chiede all’uomo se si è pentito delle sue colpe. L’azione di Colui che “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10) riguarda il presente dell’uomo e non il suo passato. Al Signore non interessa quel che l’uomo ha fatto e non gli si rivolge con un rimprovero, ma con un incoraggiamento, chiamandolo figliolo, espressione che denota intenso affetto. Quando il peccatore si incontra col Signore non viene umiliato per le sue colpe, ma avvolto dalla tenerezza del suo amore.
Mentre la religione esigeva la conversione come condizione per il perdono, per Gesù la conversione è un effetto del perdono gratuitamente concesso. Non c’è così neanche più bisogno dell’offerta di un sacrificio: Dio non chiede offerte, ma è lui che si offre e chiede di essere accolto.
Pertanto il perdono è un dono gratuito, non dovuto per i meriti dell’uomo ma per i suoi bisogni. Inoltre, contrariamente alla spiritualità del suo tempo, Gesù non invita mai i peccatori a chiedere perdono a Dio.
Non ce n’è bisogno.
Il Padre è Amore e nell’amore che continuamente offre agli uomini è compreso il suo perdono. Se in nessun caso Gesù invita a chiedere perdono a Dio, insistentemente chiede agli uomini di perdonarsi tra loro, perché il perdono che il Signore ha concesso ad essi diventa operativo ed efficace solo quando si trasforma in perdono per gli altri: “Perdonate e sarete perdonati” (Lc 6,37); “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi” (Mt 6,14; Mc 11,25).
Per Gesù il problema non riguarda il perdono concesso da Dio, ma la capacità dell’uomo di poterlo accogliere. Per questo il Signore mette in guardia: chi si incancrenisce nel male farà poi difficoltà ad accogliere il bene, anzi ne avrà orrore. E Gesù lo insegna attraverso le metafore della luce e delle tenebre: “la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie” (Gv3,19).
Come è possibile rifiutare l’offerta di luce-vita?
Mentre le opere compiute da Gesù sono tutte tese a comunicare vita agli uomini, quelle dei malvagi hanno lo scopo di toglierla.
“Dio è luce” (1 Gv 1,5), ma, afferma Gesù, “chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce perché non siano rivelate le sue opere” (Gv 3,20). Di fronte all’offerta di pienezza di vita, c’è chi la rifiuta e preferisce perseverare nella morte. Non è Dio che nega il perdono, ma quanti vivono volontariamente nelle tenebre sono ormai incapaci di accoglierlo. Questa è la sentenza che essi stessi si danno.
Quando si vive lungamente al buio anche il più leggero filo di luce dà fastidio e si chiudono gli occhi perché la luce li ferisce. La colpa non è della luce, fonte di vita, ma della scelta di stare al buio.
La Chiesa nella sua sapienza ha però da sempre beatificato le persone (a volte anche esagerando), ma non ha mai fatto il contrario. Con nessuno, neanche con Giuda, il discepolo traditore, essa ha emesso la sentenza di condanna definitiva, perché, come scrive Paolo ai Romani “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti” (Rm 11,32).