Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

La sincerità nella chiesa

30/01/2023 00:00

ENZO BIANCHI

E il gallo cantò...,

La sincerità nella chiesa

30/01/2023

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In questi ultimi tempi molti hanno la sensazione che la vita nella chiesa sia diventata più conflittuale di quanto non fosse prima. In realtà non credo che si possa nutrire nostalgia per una stagione del passato, ma bisogna prendere atto che oggi, soprattutto grazie ai social, la denuncia, il pettegolezzo, la calunnia si sono diffuse maggiormente e la conflittualità ha più possibilità di espressione.

 

Ne è sicuramente un esempio il fatto che, in occasione della morte di Benedetto XVI, si sono scatenate tutta una serie di dicerie, cattiverie, falsità, sempre con l’obiettivo di accusare ora Papa Francesco, ora il Vescovo emerito di Roma, che dopo la rinuncia al papato è vissuto ancora dieci anni. Pubblicazioni, interviste, documenti anonimi di eminenze hanno solo creato fastidio e confusione nei credenti quotidiani che non riescono a capire cosa veramente stia succedendo e si stia vivendo al cuore della cattolicità.

 

L’unico elemento emerso con chiarezza è la mancanza di sincerità, di verità, di veridicità. Ma chi vive all’interno della chiesa sa che questa patologia è diffusa, molto quotidiana, e non riguarda solo il centro dell’istituzione, ma è presente in molti che nella chiesa esercitano l’autorità o sono “addetti ai lavori”, così come nello stesso corpo ecclesiale dei fedeli.

 

La mancanza di sincerità, cioè la menzogna sotto varie forme – dall’ipocrisia alla falsità nelle parole e nelle azioni – sembra quasi un male ecclesiastico… Proprio per questo si parla poco di sincerità, di veridicità nella chiesa, mentre si ama parlare molto delle “verità”, al plurale, le verità della fede, espresse in dogmi, approfondite dalla dottrina. Tanto è grande lo sforzo e l’entusiasmo nel proclamare e difendere queste verità, tanto è debole, depotenziato, raro l’impegno a riproporre la veridicità, la sincerità come stile di vita. Sappiamo bene che nella tradizione cristiana, secondo la sentenza di Gesù, “il diavolo è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44), ma non pensiamo mai di poter essere suoi figli se manchiamo di veracità, di veridicità, di franchezza (parresìa), ovvero di sincerità.

 

Sincerità significa dire e fare ciò che si pensa, accordare le nostre parole e il nostro pensiero, cercando di diventare ciò che si è. Chi è sincero non inganna, non conosce la doppiezza (al riguardo c’è una straordinaria espressione ebraica: “avere un cuore e un cuore”, un cuore doppio, cf. Sal 12,3), chi è sincero mostra di essere quello che è ed è incline ad amare la verità più che se stesso. Sempre munito di una carità intelligente (la verità infatti è tale se è compatibile con la carità; non a caso Paolo, in Ef 4,15, parla di “verità nella carità”), chi è sincero a volte sa anche tacere la verità, se questa arreca danno al fratello o alla sorella. Non cede però mai alla menzogna, non si rifugia nell’omissione vigliacca, e se dice qualcosa di vero lo sa confermare come si mantiene la parola data, anche se dovesse manifestarsi a suo danno (cf. Sal 15,4).

 

Nella Bibbia espressioni come “cuore unificato” (Sal 86,11), “cuore semplice” (Sap 1,1), “cuore puro” (Sal 24,4; 51,12; 73,13; cf. Mt 5,8) indicano il credente sincero. Gesù, che osava dire: “Io ho sempre parlato a tutti con parresía, con sincerità e coraggio” (Gv 18,20), invitava i discepoli a parlare con franchezza, restando nella semplicità del “sì, sì; no, no” (Mt 5,37), ricordando che proprio dalla bocca escono le parole che rivelano il cuore (cf. Mt 12,34; Lc 6,45). Egli ci ha anche avvertiti con chiarezza: l’impurità non viene da ciò che mangiamo, ma da ciò che lasciamo uscire dalla bocca (cf. Mc 7,15.20.23; Mt 15,11.18.20). Non a caso Tommaso d’Aquino nella Summa ha sostato a lungo sulla veracitas, legandola alla giustizia, non alla verità, e insistendo sul suo carattere di virtus specialis, di virtù necessaria perché si possano esercitare tutte le altre (cf. Summa theologiae II-II, q. 109, a. 2).

 

Eppure nel mondo ecclesiastico la sincerità è la virtù più fragile e contraddetta. Il campionario è vasto: pettegolezzi, chiacchiere, supposizioni, calunnie per sentito dire, allusioni eloquenti a fragilità, a debolezze e a peccati che però non vengono nominati esplicitamente, a volte calunnie messe in giro ad arte, perché prima o poi presso qualcuno saranno efficaci e giungeranno là, nei luoghi alti, dove si vuole che siano conosciute… Quante calunnie degli uni contro gli altri! Calunnie gravi, anche morali, che in verità sono parole che uccidono, parole come armi. E quindi quanta sofferenza, che a volte diventa fatica a restare saldi, diventa “depressione ecclesiale”, solitudine, perché gli altri fuggono e gli amici non si fanno più sentire. Quanto male possono fare la cattiveria che ha di mira gli altri, l’invidia, la concorrenza con chi vogliamo sorpassare nella scalata al potere… Soffrire per la chiesa è duro, ma soffrire a causa della chiesa è ancora più faticoso, scuote l’appartenenza alla chiesa fin dalle fondamenta.

 

Ci sono volti che invece di essere stati dati in sorte a certi ecclesiastici sembrano scolpiti da loro stessi giorno dopo giorno, in modo che i tratti fisiognomici appaiano ispirati dal loro comportamento personale. Sì, come si è detto nella tradizione monastica, ognuno dopo i quarant’anni ha la faccia che si merita! Eppure costoro ti incontrano e ti salutano con entusiasmo, magari ti stringono la mano con forza, e appena passati oltre dicono su di te una cattiveria a chi gli cammina accanto… Oppure addirittura si complimentano: “Grazie per quello che fai nella chiesa...”, mentre con altri parlano di te inventando attributi dispregiativi, che non avrebbero il coraggio di dirti in faccia.

 

Nella Regola di Bose sta scritto: “Non dire mai di un fratello assente se non ciò che tu gli hai già detto e sei disposto a dirgli in faccia, con umiltà e chiarezza”. E si potrebbe commentare: “Non essere come quelli che non esprimono mai dei giudizi faccia a faccia, ma sempre nella mormorazione ecclesiastica. Per loro, se danzi, mangi e bevi sei un mangione e un beone, mentre se fai ascesi e stai nel deserto hai un demonio (cf. Mt 11,18-19; Lc 7,33-34)!”.

 

Nell’immediato post-concilio un teologo cristiano, perito al Vaticano II, scrisse un libro intitolato: Veracità per il futuro della chiesa. Chiedeva semplicemente che nella chiesa si ricordasse questa virtù “speciale”, senza la quale non ci possono essere né pace, né ordine, né vita fraterna; non ci può essere comunione.