Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Sentinelle di porte aperte

30/03/2023 01:00

Nunzio Galantino

Testi di Amici 2023,

Sentinelle di porte aperte

di Nunzio Galantino

di Nunzio Galantino*

L’inclusione dei poveri — di qualsiasi forma di povertà — non sarà mai reale e non apparterrà mai a una Chiesa che, nel suo stile, nelle sue scelte e nelle sue parole, si percepisce come un potere accanto ad altri poteri. Qualora questo dovesse capitare, le resta una sola strada da percorrere: mettersi alla scuola di Gesù, che significa cercare quello che Lui cerca, amare quello che Lui ama, privilegiare ciò e coloro che Lui privilegia.

 

Tutta la Sua vita è stata un uscire da sé verso gli altri, a cominciare dal guardarli con attenzione e amore (cfr. Evangelium Gaudium, 21, 46, 87, 124).

 

Guardare con attenzione e amore è molto di più che provvedere ai bisogni materiali degli ultimi. È spendersi per assicurare loro dignità. E non c’è dignità senza inclusione sociale.

 

L’inclusione è il contrario dell’esclusione e della logica della separazione e della contrapposizione.

 

La logica del Vangelo è la logica dell’incontro. In un altro passo di Evangelii gaudium (n. 272), ci viene ricordato che fuggire gli altri, nascondersi agli altri e negarsi alla relazione sono altrettanti modi attraverso i quali si vive una vita comoda e non evangelica. «Contemporaneamente, un missionario pienamente dedito al suo lavoro sperimenta il piacere di essere una sorgente, che tracima e rinfresca gli altri. Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri. Questa apertura del cuore è fonte di felicità, perché “si è più beati nel dare che nel ricevere ” (Atti degli Apostoli 20,35). Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità. 

Ciò non è altro che un lento suicidio» (cfr. Eg, n. 272). La mentalità mondana cerca solo il possesso e, se non riesce a dominare, mette in atto strategie di rifiuto e di eliminazione. La sostanza del Vangelo, il centro e la novità dell’annunzio cristiano stanno qui: come Gesù, uscire da se stessi per ricercare il bene e la realizzazione di tutti (Eg, n. 39), assumendo il punto di vista dei poveri, ascoltando il loro grido come fa il Dio di Gesù (cfr. Eg, n. 187).

 

L’inclusione dei poveri, alla quale è dedicato gran parte del quarto capitolo della Evangelii gaudium (cfr. Eg, nn. 186-216), non è un’operazione sociologica; è, piuttosto, l’impegno a restituire al povero la dignità che gli è stata sottratta. E questo, si capisce, richiede molto più della risposta ai bisogni materiali.

 

È quello che già affermava Paolo VI nella Octogesima adveniens, ed è quello che papa Francesco ha ribadito in Evangelii gaudium.

 

Assumere il punto di vista dei poveri, in vista della loro inclusione, vuol dire essere una Chiesa che sa imparare dai poveri, sa lasciarsi evangelizzare da loro e dal loro modo di stare davanti a Dio e ai fratelli. Qui c’è il riferimento a Esodo 3,7- 8.10. «Non è il momento qui per sviluppare tutte le gravi questioni sociali che segnano il mondo attuale, alcune delle quali ho commentato nel secondo capitolo. Questo non è un documento sociale, e per riflettere su quelle varie tematiche disponiamo di uno strumento molto adeguato nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il cui uso e studio raccomando vivamente. Inoltre, né il Papa né la Chiesa posseggono il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale o della proposta di soluzioni per i problemi contemporanei. Posso ripetere qui ciò che lucidamente indicava Paolo VI: “Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione.

 

Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese”» (Eg, n. 184).

 

Solo facendo questo, può divenire una Chiesa che si fa ospite tra gli ospiti, mentre porge una ciotola ristoratrice ai viandanti della vita; una Chiesa che libera e non costringe, che accarezza e non giudica, che ama l’ombra stremata di ciascuno, che l’abbraccia e l’accoglie per permetterle di vedere la luce.

 

Negli ambienti che frequento, mi piace e mi commuove tutto ciò che è segno di una Chiesa che non trattiene la vita, che si lascia muovere e rinnovare e che apre orizzonti, come vuole papa Francesco. Una Chiesa fatta di uomini e donne che fabbricano passaggi dove ci sono i muri, che aprono brecce negli sbarramenti, che saltano ostacoli e costruiscono ponti, che mantengono fresca la spontaneità, l’invenzione e la creatività, che spezzano le dipendenze e l’ovvietà. Uomini e donne concreti, che rifiutano le astrazioni, che non si spaventano delle differenze e delle contraddizioni; uomini e donne non impazienti, non frettolosi, non avari, ma che permettono all’amore di maturare e diventare pacifico, dolce, umile, comprensivo.

 

Abbiamo tanto bisogno di queste sentinelle — e l’esempio luminoso di don Giuseppe Dossetti ne è una chiara testimonianza — che vigilano attente su ogni moto della fantasia, su ogni nuovo slancio di coraggio, su ogni accenno di libertà che si ridesta, su ogni inizio di generosità, su ogni germoglio di speranza.

 

*In l’Osservatore Romano 20/03/2023