Ho vissuto la terza Pasqua in esilio, fuori della mia comunità, privato (ed è questo ciò che soffro di più) della liturgia, della preghiera comune che per noi monaci è ritmo del giorno e respiro della vita cristiana. E così sono diventato un pellegrino, ospite di eucaristie celebrate da comunità di cui non faccio parte. Un’esperienza per me impensabile: partecipare alla liturgia senza condividere una vita comunitaria! Tuttavia, anche se faticosamente, sono stato nutrito nel cammino verso il Regno e il “Pane della vita” mi ha sostenuto e mi ha dato la forza di conservare la fede e perseverare nella speranza.
Confesso però di aver fatto esperienza della miseria delle attuali celebrazioni: non mi riferisco a quelle celebrate da pochi cristiani, sovente vecchi, presiedute da un presbitero che con fede e convinzione dice parole e compie gesti che sono anamnesi di ciò che disse e fece Gesù nell’ora della sua Passione. Mi riferisco alle eucaristie celebrate in molte chiese senza rispetto per la grandezza del mistero, celebrate sciattamente, velocemente, senza stile né bellezza. Invece di aiutare lo spirito lo deprimono, invece di far ardere il cuore lo paralizzano, invece di destare gioia infondono noia e stanchezza. Mi chiedo a volte se vale la pena di andare a queste messe, ma poi la mia formazione cattolica tridentina spegne ogni domanda.
Ho partecipato recentemente a un’ordinazione episcopale e a funerali di amici e ciò che mi ha sconvolto sono stati gli applausi, i battimani! Applausi al vescovo ordinato e fatto sedere sulla cattedra, applausi ai presbiteri dopo l’ordinazione, applausi al morto durante il funerale in chiesa, applausi alla fine dell’omelia… Non vi riconosco più una liturgia cristiana.
Già Giovanni XXIII manifestò il suo dispiacere quando in chiesa lo accolsero quale papa battendo le mani: disse a quei parrocchiani che in chiesa non si saluta neanche il Papa perché la chiesa è dimora di Dio, dimora di Dio! Era infatti consapevole che non si applaude il servo nella dimora del suo Signore al quale solo va la gloria e il battere le mani, come richiede il salmo.
Sì, sempre di più le liturgie cattoliche assomigliano a intrattenimenti a sfondo religioso e lo stile con cui si vivono è mondano, non è “altro”, non è “differente” rispetto a ciò che non sta nello spazio dell’adesione a Cristo.
E c’è addirittura chi osa oggi immettere nella liturgia latina la danza e la sostituisce alla preghiera del Salmo responsoriale, c’è chi crede di terminare la liturgia inventando ogni giorno delle azioni che vorrebbero stupire e attrarre la gente…
E così una riforma liturgica che aveva previsto la partecipazione attiva dei credenti alla tavola del Signore, tavola della Parola e del pane spezzato, appare sempre più compromessa dalla mancanza di fede… Perché la liturgia è viva se chi vi partecipa vive nella fede, celebra la fede, sa condividere la sua fede con i fratelli e le sorelle!
Non si dica che i tempi sono cambiati, che la comunità cristiana è diventata piccola e povera, che non si può fare altrimenti! Quando ero giovane, fino alla fine degli anni settanta, il mio villaggio era un piccolo borgo di neanche mille abitanti, ma il parroco ci faceva vivere una settimana santa di cui porto nel cuore le stigmate indelebili: le divine liturgie, gli uffici delle tenebre, la grande veglia pasquale a mezzanotte… tutto celebrato con cura, con fede, con grande consapevolezza. È grazie alle diverse settimane sante celebrate e vissute che sono diventato un cristiano adulto e oggi conservo la fede.