Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

L’omelia di saluto a Jacques Gaillot pronunciata da Franz Lichtlé

27/04/2023 00:00

AA.VV.

Testi di Amici 2023,

L’omelia di saluto a Jacques Gaillot pronunciata da Franz Lichtlé

di Franz Lichtlé

di Franz Lichtlé

Sabato e domenica scorsi, con un’équipe della cappellania, eravamo al carcere di Fleury Mérogis per celebrare l’eucaristia con due gruppi di detenuti. In quell’occasione, non abbiamo potuto fare a meno di pensare a Jacques che non mancava mai ai suoi appuntamenti con i detenuti, in diverse carceri francesi. Donne, uomini, giudicati, condannati, rifiutati, feriti, lasciati ai margini e perfino al di fuori della società, ricevevano infatti, regolarmente, le visite di Jacques che si rifiutava di abbandonarli alla loro sorte, per ricordare loro la loro dignità, nonostante tutto il loro passato…

 

Mentre Jacques, nel suo letto all’ospedale Pompidou, sapeva di essere condannato, la liturgia della Settimana Santa ci portava a pensare al suo percorso di vita, simile alla scrittura di una poesia continua, che si scriveva ogni giorno, con le parole della vita, le parole dell’attualità, le parole della sofferenza, le parole degli interrogativi del tempo, le parole del Vangelo. Quelle parole si concretizzavano man mano in atti, forse in conformità con la parola di Dio.

 

Come il buon samaritano, Jacques non temeva di essere in ritardo per un impegno se un bisogno pressante si presentava sul cammino. L’istituzione, le strutture dovevano saper attendere.

 

Evidentemente, per coloro che erano con lui, non era certo facile seguirlo su quel cammino di vangelo che aveva scelto.

 

A quel tempo, per alcuni era più facile rinchiudere Jacques dietro caricature e idee preconcette, un po’ come per proteggere se stessi, per evitare di interrogarsi, di rimettersi in discussione. Sono tante le scuse per non scorgere l’altro che sta soffrendo sulla strada. Facilmente si adducono scuse per non dover guardare in faccia la persona ferita dalla vita. Un prete si giustifica adducendo il pericolo di impurità con contrarrebbe toccando il sangue della vittima di un brigante. Un levita ha il pretesto di un possibile ritardo per la preghiera al tempio.

 

Gesù stesso è stato condannato perché lo si sarebbe voluto limitare alla sua identità di figlio di falegname, originario di Nazareth, da cui non poteva venire nulla di buono, solo un disobbediente alla legge, uno che non rispettava il sabato, un ribelle alla regola di non rivolgersi a un pagano o a una straniera, per di più peccatrice, e là, sulla strada, di toccare un uomo ferito, insanguinato…

 

Com’è facile rinchiudere qualcuno nelle sue audacie. La stampa, in questi giorni, non ha evitato di rinchiudere Jacques nel personaggio ribelle, progressista, contestatore, sanzionato, emarginato, o in quello del vescovo rosso…

 

Ma la poesia della vita di Jacques si scriveva altrove, in altro modo. Proclamava le sue rime con l’uomo ferito, incontrato per caso sulla sua strada, senza distinzione di religione, di condizione, a rischio, certo, di essere ingannato, ma farsi sfruttare da un poveraccio, non è forse, in un certo modo, rendergli giustizia? Non c’è scritto da nessuna parte che il povero Lazzaro fosse un buon povero, giusto, saggio e sottomesso!

 

La poesia di Jacques ha fatto a lungo rima con Partenia, quella locanda nella quale ha portato migliaia di feriti dalla vita, dalla Chiesa, dalla società. Donne, uomini, giovani, che nella chiesa e fuori della chiesa, avevano la sensazione di non esistere, quelle e quelli che si sentivano abbandonati ai lati della strada, non interessati a ciò che era loro proposto. Trovavano là, in quella diocesi virtuale, inventata per loro, una risorsa di fede, una proposta di speranza, un porto di pace, un balsamo d’amore, un’umanità fatta di carne che permetteva loro di cicatrizzare le loro profonde ferite...

 

Con Droits devant, gli impegni facevano rima con il sostegno continuo ai “sans papiers”, quei migranti in cerca di vita, parcheggiati nelle bidonvilles insalubri, nelle nostre periferie, spesso non lontane dalle discariche, dai binari delle ferrovie, dalle autostrade, dai cimiteri…

 

Con l’arte del senso del servizio che era diventato in lui come una seconda natura, Jacques ha saputo rendersi prossimo a tutti quei feriti che avevano bisogno, in un certo momento della loro vita, di una parola, di un gesto, di un sostegno, di uno sguardo di compassione dei suoi occhi azzurri. E se ha avuto notorietà, se ne è servito, nel corso delle sue numerose manifestazioni, per il sostegno di quegli esclusi, di quegli incompresi, di quei sofferenti…

 

Non era quello il posto di un vescovo? Domanda che risale molto indietro nel tempo. 

 

Non era quello il posto di Gesù sulle strade della Palestina, alla tavola dei pubblicani e dei peccatori, mentre si lasciava toccare da donne di malaffare? La croce non era davvero il posto del figlio di Dio, ma l’uomo lo ha crocifisso!

 

Jacques, che il poema della tua vita continui ancora a lungo a coprire con il balsamo dell’amore, le ferite dei mutilati che il nostro mondo, la nostra società, la nostra Chiesa, lascia ai lati della strada