Prima di essere assassinata la filosofa aveva difeso la comunità ebraica nella lotta (economica) con il vescovo Cirillo per il trasporto del grano
La Stampa - Tuttolibri - 06 Maggio 2023
di Enzo Bianchi
La storia mostra le tre religioni monoteiste – ebraismo, cristianesimo e islam – come potenziali veicoli addirittura, istigatrici di intolleranza. Intolleranza nei rapporti dei monoteismi fra di loro, all’interno di ciascun monoteismo e nei rapporti tra i monoteismi e gli altri uomini: i “pagani”, i “non credenti”, gli “infedeli”. Innanzitutto, se ebraismo, cristianesimo e islam si rifanno all’unico Dio e si riconoscono discendenti di Abramo, padre di tutti i credenti nel Dio unico, questa comune eredità è divenuta, come spesso nelle famiglie, motivo di gelosia, di opposizione e perfino di violenza. Ciascuno dei tre monoteismi è stato persecutore e perseguitato nei confronti dell’altro monoteismo – certamente in misure molto diverse e da valutarsi storicamente in maniere differenziate – o comunque è stato in rapporto conflittuale e di rivalità con esso.
Va osservato che molti periodi storici insegnano che le tre religioni hanno saputo convivere pacificamente tra loro e hanno invece rivolto al loro interno l’attitudine inquisitoria e persecutoria. Mostrando così che il rapporto del monoteismo con la tolleranza non è solo il problema dell’altro, ma anzitutto il problema del medesimo. Si può pensare, in campo cristiano, alle cruente repressioni degli eretici e alle lotte fra cattolici e riformati e, in campo islamico, alle violente repressioni dell’ortodossia islamica nei confronti di sette eretiche, per esempio, durante l’Impero ottomano. Nell’ambito ebraico, così pluralista e tollerante al proprio interno, si può pensare alla questione delle sette giudaiche all’epoca del secondo tempio, alle opposizioni e agli ostracismi conosciuti dal movimento chassidico al suo sorgere o ai difficili rapporti tra ortodossi, riformati e conservatori in epoca moderna e contemporanea.
Ma il problema dell’intolleranza verso “gli altri” riguarda essenzialmente il cristianesimo e l’islam, in quanto l’ebraismo, pur avendo conosciuto qualche sussulto di proselitismo, non ha sostanzialmente mai interpretato la propria vocazione a essere “luce delle genti” nel senso di quello zelo missionario che ha suscitato in cristiani e musulmani la volontà di “rendere gli altri uguali a sé” convertendo l’umanità alla propria fede.
Per quanto riguarda il cristianesimo, che nei primi secoli è stato essenzialmente religione di martiri e confessori della fede, si può affermare che la svolta verso il monoteismo politico è avvenuta con il teologo di corte Eusebio di Cesarea, nel IV secolo. Per Eusebio l’imperatore Costantino rappresenta Cristo e ne manifesta il ruolo unificatore: vi è un solo imperatore come vi è un solo Cristo e un solo Dio. L’alleanza fra religione e potere politico ha così segnato l’epoca della cosiddetta cristianità ed è stata all’origine di intolleranza, violenze, guerre.
Come non ricordare che quando con Teodosio il cristianesimo è diventato religione di stato imperiale la furia dei monaci ha distrutto i templi pagani e fatto scempio di opere d’arte. È il motivo per cui il grande Basilio di Cesarea non ha mai usato nei suoi scritti la parola “monaco” perché designava integralisti violenti. Il caso più emblematico avvenne ad Alessandria, quando fu distrutto il Serapeo e i parabalani del vescovo Cirillo assassinarono Ipazia.
Nel 415 in una Alessandria ricca di grano e di intellettuali, nella quale si contendono l’ultima aristocrazia pagana, la laboriosa comunità ebraica e il nuovo potere religioso guidato dal potente vescovo Cirillo, la filosofa neoplatonica, astronoma, matematica, influente politica e affascinante Ipazia è massacrata da fanatici cristiani, i monaci parabalani venuti dal deserto di Nitria, milizia del vescovo Cirillo: “La donna fu fatta a brandelli per mano di quanti professavano la consustanzialità” scriveva Filostorgio, testimone antico e privilegiato dei fatti. Questo terribile dramma ha fatto di lei un simbolo: quello di un cristianesimo intollerante che, dopo essere stato perseguitato, diventa lui stesso persecutore. Questo momento terrificante del cristianesimo dei primi secoli pone la questione della tolleranza, nel momento stesso in cui l’universalità della Chiesa era in progressiva costruzione.
Con la nuova edizione aggiornata e accresciuta di Ipazia. La vera storia, Silvia Ronchey ha lo straordinario merito non solo di ricostruire l’eccezionale figura di Ipazia, ma soprattutto consegnare un vero e proprio dossier sulla vicenda della filosofa alessandrina che è una miscela di integralismo religioso, rivalità ecclesiastiche tra Alessandria e Costantinopoli, strategie politiche e interessi economici. Lo scopo di Ronchey, apertamente dichiarato nel titolo, è di rintracciare la vera storia, ossia di distinguere il vero dal falso, analizzando tutte, ma davvero tutte, le opinioni, gli interventi, sulla vicenda di Ipazia a partire dalle fonti storiche più antiche fine agli studi dell’ultimo decennio nel quale il personaggio Ipazia è stato conosciuto dal grande pubblico grazie al film del 2010 Agorà di Alejandro Amenabar.
“Oggi il simbolo di Ipazia non è più di élite ma di massa”, osserva Ronchey, “in questa donna assassinata da un potere fanatico e brutale quanto nei secoli impunito sembrano riconoscersi tutto coloro che hanno subito un torto: non solo il genere femminile, e non necessariamente femminista, tuttora vittima di ingiustizia, discriminazione, violenza fisica, ma chiunque, di qualunque sesso, sia stato perseguitato per fedeltà a un ideale; o sia caduto vittima di fanatismo e delle intolleranze riemerse nel terzo millennio delle discriminazioni religiose, ideologiche, razziali”.
è ricercando scientificamente la verità storica che Ronchey fa giustizia alla statura intellettuale e morale di Ipazia troppo spesso condannata a una distorsione ideologica. Dunque non tradire i fatti da cui è nata una certa fortuna storico e letteraria di Ipazia, ma al contrario chiarire le linee essenziali della vicenda storica e politica che portò al linciaggio di questa donna. Ronchey risale a ritroso e riesamina – con la lucidità e quell’indubbia capacità di storica e filologa che le è universalmente e a giusto titolo riconosciuta – le interpretazioni delle fonti antiche, valutandone l’attendibilità, i lori giudizi e pregiudizi.
Le sfumature delle diverse interpretazioni del segreto femminine di Ipazia e del suo barbaro assassinio rivelano con chiarezza che il punto non è la fine del paganesimo ma la metamorfosi del cristianesimo, l’evoluzione, o involuzione del suo pensiero politico, esattamente la separazione tra Stato e Chiesa che se era chiara a Bisanzio non lo era ad Alessandria. Silvia Ronchey non ha dubbi: “Siamo in definitiva certi, se è esatta la nostra lettura delle fonti, che Cirillo sia colpevole dell’assassinio di Ipazia”. Le fonti antiche emettono una giudizio concorde attribuendo il precipitare degli eventi a un accesso di irrazionalità di Cirillo, irrazionalità che definiscono phthonos che per Ronchey non è “gelosia” o “invidia”, ma una più prosaica “concorrenza”. Sì, concorrenza confessionale antiebraica e insieme antipagana: poco prima di essere assassinata Ipazia aveva difeso l’antica comunità ebraica di Alessandria dall’orrendo pogrom ordinato dal vescovo Cirillo il cui fine politico era la lotta economica contro gli ebrei per il trasporto del grano da Alessandria a Costantinopoli e la volontà di intaccare e condizionare il potere dello Stato mai concesso agli ecclesiastici. Questa è la “forma politica” dell’intolleranza che il cristianesimo ha conosciuto.