La Repubblica - 17 Luglio 2023
di Enzo Bianchi
Per molti è arrivato il tempo delle vacanze, il tempo per vacare, verbo latino che rimanda a un vuoto, una sospensione e una distanza dal “fare” quotidiano in vista di una maggiore libertà. Vacare è dunque “fare niente”, darsi del tempo per non fare quello che si fa sempre, e quindi vivere godendo di essere al mondo, di assaporare l’istante. Durante tutto l’anno si lavora, si agisce, si fa, ma ecco il tempo per fare niente, cosa molto più facile a dirsi che a viversi. L’esercizio di interrompere il lavoro per passare al riposo non risulta facile, soprattutto per chi ha una certa età. Lo sappiamo bene: ci sono uomini e donne (tra i quali magari ci siamo anche noi) che non riescono a “fare niente”, a fermarsi, a prendere le distanze dal loro operare. E lo si vede spesso in quanti partono per le vacanze e giunti al luogo in cui dovrebbero “dimorare” sono presi dalla frenesia di programmare, di stabilire cose da fare al mattino, a mezzogiorno, alla sera. Aveva ragione Guigo il certosino quando sentenziava: “È molto più faticoso fare niente che lavorare!”.
Eppure “fare niente” è importante per vedere e non solo guardare, per ascoltare e non solo sentire, per pensare e non solo reagire psicologicamente nelle diverse situazioni. Il “fare niente” è un’arte che permette non solo di riposare, ma di vivere in modo più consapevole e acquisire la sapienza. Nell’esperienza monastica il fare niente in cella o passeggiando nella natura dà anche la possibilità di impegnarsi in un viaggio interiore andando verso se stessi per conoscersi in profondità e quindi attraverso una vera lotta spirituale discernere le pulsioni che ci abitano, ordinarle spegnendo quelle malvagie dalle quali nessuno è esente. Dunque è un far niente di esteriore, di visibile, che in realtà è un lavorare per un incontro con noi stessi, con le nostre profondità.
Questa operazione non è spontanea, non è facile, è faticosa, ma soprattutto – dobbiamo dirlo con forza – può avvenire solo se non si è inebriati nell’attivismo, se non si è distratti dall’azione, dal lavoro, dagli impegni… È nel fare niente, che non è semplicemente “il dolce far niente”, che si trova lo spazio per aprire questo cammino interiore. Dovremmo essere più attenti alla sapienza latina, come quella di Scipione Africano il quale affermava che “mai era meno attivo di quando stava in ritiro senza far nulla al mattino”. E non dimentichiamo il grande maestro Seneca, che teorizzava che “coloro che non sono attivi in realtà compiono grandi azioni”.
Perciò le vacanze sono un tempo beato, ma a condizione che sappiamo viverle vacando: riposando, certo, perché interrompiamo il lavoro quotidiano, ma soprattutto dando ai nostri silenzi l’occasione di essere illuminati e rinnovati affinché nelle relazioni con gli altri, nei nostri legami feriali possiamo essere persone sempre più autenticamente umane. Solo nel vacare, contemplando tutto ciò che ci circonda, noi possiamo constatare che “ogni creatura ha una voce”, come dice l’apostolo Paolo e che da ogni creatura possiamo trarre insegnamento, consolazione e lezione. Attraversando pinete in montagna, o seduti accanto a una cascata come su una spiaggia del mare, noi possiamo ascoltare il mondo, sentirne i gemiti, ma anche gli insegnamenti che vengono da questi nostri coinquilini del pianeta.
Fare vacanza e fare niente è una preziosa occasione per la nostra umanizzazione e la nostra comunione con madre terra.