di Enzo Bianchi
“Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6,26). Questa benedizione mostra che la pace è innanzitutto un dono di Dio, la risposta di Dio alla preghiera del credente. A chi ascolta la parola di Dio il Signore annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi amici, per chi ritorna a lui con tutto il cuore (cf. Sal 85,9).
Può essere per noi scandaloso, ma la pace, pur essendo una scelta dell’uomo e della donna, un impegno umano, è essenzialmente dono di Dio, è qualcosa che si riceve da lui e che non possiamo darci da noi stessi. Siamo portati a pensare che la pace possa nascere da un’interazione di fattori storici, di cause interne al mondo, che possa nascere da un’evoluzione dei rapporti tra gli stati, dall’individuazione di mezzi per la soluzione dei conflitti, ma non è così secondo la Parola. Noi vorremmo che la pace fosse nostra come ormai l’ideologia dominante proclama (“tutto è nostro”), ma non è così perché la pace è essenzialmente dono di Dio, dipende da Dio.
L’essere umano è un essere diviso, in perenne lotta contro se stesso e contro i fratelli e la realtà della violenza lo abita perché egli porta in sé il male, la morte, il peccato. Meditiamo sulla portata di queste realtà che, se non siamo superficiali e ciechi, sappiamo essere parte del nostro essere profondo e più quotidiano. Ebbene è proprio verso di noi, verso questi esseri in guerra che noi siamo, che Dio ha preso l’iniziativa offrendo a tutti un’alleanza di pace, una via di pace che ci concerne totalmente e che per questo la parola di Dio chiama “salvezza”.
Pace e salvezza sono sinonimi e indicano il dono di Dio a chi fa alleanza con lui. Dio infatti dona ciò che possiede, cioè consegna se stesso ed è lui la salvezza e la pace: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: ‘Regna il tuo Dio’” (Is 52,7). L’annuncio del Vangelo è annuncio di salvezza e di pace, è dono di Dio, dono gratuito, pura iniziativa divina, nonostante gli ostacoli che l’uomo frappone. La pace rappresenta l’intervento di Dio supremo e irreversibile: l’invio del Figlio, l’incarnazione, una persona, il Messia.
L’annuncio della pace è soltanto profezia, non frutto di induzione, non esito di un programma o di un’evoluzione umana. È infatti nel Messia, nell’Emmanuele – il “Dio con noi” – che lo shalom, la pace come pienezza di vita in assoluto, come felicità e salvezza, si realizza personalmente tra di noi ed è effusa attraverso lo Spirito santo su tutti gli esseri.
La pace, dice Isaia, è una presenza divina, un bambino che è nato per noi, un figlio che ci è stato donato, il cui nome sarà “Consigliere ammirabile, Dio forte, Padre eterno, Principe della pace” (cf. Is 9,5-6). Qui siamo certamente lontani dal nostro modo abituale di pensare la pace, ma la contemplazione, l’assiduità con la Parola ci svela che la pace è un dono che entra nella nostra storia, è una realtà che tocca tutti i rapporti, ma è innanzitutto una persona: il Messia, Gesù Cristo. C’è pace per l’umanità quando questa accede al piano storico della salvezza, cioè a Cristo, quando accoglie lo Spirito di Cristo e adotta i mezzi e i metodi di Cristo, che sono contrassegnati dalla mitezza, dalla debolezza, dall’umiltà; nel ripudio della violenza, della prevaricazione, dell’autoaffermazione, dell’orgoglio. La pace viene con chi ha i tratti descritti nella profezia di Zaccaria: chi “è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”, in colui che viene a far sparire i carri da guerra, i cavalli degli eserciti, l’arco e tutte le armi (cf. Zc 9,9-10).
Il dono più grande che abbiamo ricevuto da Dio, la consegna del Figlio agli esseri umani, è nient’altro che Il Vangelo della pace per mezzo di Gesù Cristo (cf. At 10,36; Ef 6,15).
Per questo Gesù si è preoccupato con insistenza di distinguere tra pace vera e falsa, tra pace che viene da lui e pace mondana, dove “mondana” non sta solo a indicare la pace che i potenti ottengono facendosi il deserto intorno, eliminando l’avversario, ma anche la pace che il mondo vuole darsi senza Gesù, una pace intesa come assenza di guerra, ma nella quale sono ancora presenti il peccato, la menzogna e la violenza più nascosta e sottile. È scandaloso, ma è così! Gesù, dopo aver dato il comandamento nuovo dell’amore reciproco, dell’amore in ogni situazione anche di fronte all’avversario, al nemico, al violento, ci ha avvertito: “Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me! Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).
Ha senso pregare per la pace?
Forse nutriamo una certa diffidenza verso la preghiera come mezzo per ristabilire la pace. Temiamo l’evasione dalla realtà, lo spiritualismo, e qualche volta siamo portati a pensare che il problema della pace lo si debba risolvere con la lotta, non con la contemplazione. Ma io credo che qui non si tratti di eliminare o attenuare l’impegno storico, la prassi della pace: al contrario, si tratterà di potenziarla e renderla efficace ricorrendo alla sorgente della preghiera, della contemplazione. Se la pace è conosciuta nella sua verità attraverso la Parola, se ci è donata nell’assiduità con la Parola, può allora anche scaturire dalla preghiera come azione e prassi. Nessuna evasione, nessun privaticismo, nessun intimismo della pace.
La preghiera inoltre è sorgente di pace non solo a livello individuale – perché ci restituisce la pace con Dio e la pace del cuore – ma anche a livello collettivo, perché immette nella storia una forza efficace: è infatti una componente della storia in quanto attività che fa storia, che crea eventi.
È significativo che nel linguaggio biblico il termine “preghiera” derivi da “decidere”, “decidere con Dio”. Quando Abramo prega e intercede presso Dio per la salvezza del giusto a Sodoma e Gomorra, egli decide con Dio la pace del giusto che sarà salvato. Quando Mosè prega tenendo le braccia in alto – in quella battaglia più escatologica che storica contro l’avversario Amalek – egli prega e decide con Dio la pace del popolo eletto che minaccia di trovare la morte quando Mosè cessa di pregare.
Pregare nella nostra fede non è operazione arrogante, non è rito magico per garantirsi ciò che si desidera, ma è fare discernimento e decidere con Dio, con il Signore che lascia aperto davanti a sé uno spazio da varcarsi con la preghiera. La preghiera ha una funzione dunque nella storia, s’innalza dalla storia come grido di oppressi, di curvati, di poveri, di sfruttati, di prigionieri, di torturati, e spinge Dio alla liberazione, a intervenire; ma può anche essere l’intercessione del credente che chiede la pace dove questa è calpestata e inculcata. Tutte le vittime della storia sono preghiera efficace, ma anche gli eletti che gridano a Dio notte e giorno vedono Dio che interviene rapidamente (cf. Lc 18,7).
Occorre dunque pregare per la pace e questa è un’operazione di primaria importanza per il credente che è operatore di pace, uomo di pace, solo se questa pace la riceve nella preghiera, solo se nell’assiduità della Parola è trasformato da essere umano che coltiva in sé ribellione e violenza in essere umano obbediente a Dio e pacifico. Infatti, se la preghiera è entrare nei pensieri del Dio della pace, se è condividere la sua volontà di pace, allora pregando, contemplando, si viene plasmati esseri di pace. Non a caso nel Cantico dei cantici, celebrazione dello Shalom, il Messia è Shalom, il Pacifico, e la Sposa popolo di Dio è Shulamit, la pacifica. Diventare uomo di pace e donna di pace nella contemplazione è possibile perché la preghiera allarga il cuore, infonde il fuoco dell’amore nel cuore, apre il cuore all’amore per il cosmo intero.
Un contemplativo cristiano del v secolo descriveva così l’uomo di pace, pervenuto alla pace attraverso la preghiera:
Egli ha un cuore pieno di amore, che brucia di amore per la creazione intera, per gli uomini, per gli animali, anche per i demoni e tutto ciò che esiste. Un tale uomo non cessa di pregare anche per i nemici della verità, quelli che lo perseguitano, affinché tutti siano conservati in vita e purificati. Egli, attraverso la preghiera, ha conosciuto la misericordia di Dio che è stata riversata nel suo cuore senza misura. Assimilato a Dio, quest’uomo prega per tutta l’umanità, l’Adamo totale. Il suo cuore si infiamma di una tale gioia e di un tale amore che se fosse possibile prenderebbe tutti gli uomini nel suo cuore senza distinguere i buoni dai cattivi, gli amici dai nemici. Considerandosi l’ultimo e il più piccolo di tutti egli considera la salvezza e la pace degli altri come sue proprie…
Un tale uomo, nutrito di preghiera, ripete così a se stesso e ai fratelli le parole evangeliche:
Lasciati perseguitare ma tu non perseguitare, lasciati offendere ma tu non offendere, lasciati calunniare ma tu non calunniare. Rallegrati con quelli che si rallegrano e piangi con quelli che piangono. Abbi misericordia di quelli che fanno il male e sii nella gioia con quelli che si convertono.
Preghiera e pace sono dunque intimamente legate.
Quando Dio si pentì di aver creato l’uomo a causa della violenza presente sulla terra (cf. Gen 6,7-8) un uomo, Noè, trovò grazia ai suoi occhi perché camminava con Dio. Venne il diluvio, ma gli umani, gli animali, tutti, furono salvati e continuarono a vivere proprio grazie a Noè.
Se anche una nuova catastrofe fosse incombente oggi, ricordiamolo: basterebbe un credente che prega camminando con Dio per vedere mutata la nostra storia. Dio è con noi, sempre presente, pronto a decidere la pace con chi lo prega, pronto a donarla a tutti gli umani.