Per la prima volta, in questo Sinodo, la Chiesa cattolica ascolta il mutamento e la novità avvenuta
Pubblicato su: Vita Pastorale settembre 2023
di Enzo Bianchi
Avendo finora seguito puntualmente il cammino sinodale in atto dall’ottobre del 2021 in tutta la Chiesa cattolica, abbiamo vissuto un’attesa piena di speranza per la pubblicazione dell’Instrumentum laboris, elaborato sulla base dei contributi pervenuti dalle singole Chiese nazionali e quindi continentali. Il documento, reso pubblico alla fine del giugno scorso, sarà lo strumento di lavoro, la traccia per il discernimento, nella prossima celebrazione del Sinodo a Roma, nel mese di ottobre. Quello che più rincresce – e lo posso dire sulla base di quello che ho potuto ascoltare e constatare in molte Chiese dell’Italia e dell’Europa – è la ricezione di questo documento: non ha suscitato molto interesse. E non se n’è fatta neppure menzione nella vita ecclesiale, come se si trattasse di un evento che riguarda non il popolo di Dio, i cristiani quotidiani, ma solo alcuni, quelli che nelle Chiese hanno una funzione rilevante.
Quante volte, in occasione di mie conferenze o interventi in diverse parrocchie italiane, quando chiedevo cosa i fedeli pensavano del Sinodo, ricevevo come risposta solo il silenzio, o qualche richiesta fatta a me di spiegare cos’era e cosa significava. E se prendevano la parola gli “addetti ai lavori” o quelli che sono impegnati in parrocchia, le domande erano tutte sulla possibilità di avere presbiteri sposati, che le donne siano ammesse al ministero e sulle novità possibili in materia di morale sessuale. E ciò manifesta come sul Sinodo i fedeli abbiano ascoltato più i media che i pastori.
Ora l’Instrumentum è stato pubblicato, tutti possono leggerlo, ma quanti lo faranno? Il documento è lungo, troppo lungo (65 pagine!) e resta imprigionato in un linguaggio che il cristiano comune non comprende e da cui non si sente attratto. Certamente per i membri del Sinodo, vescovi, religiosi e laici nominati dal Papa, l’Instrumentum laboris è una buona traccia per il confronto, l’ascolto e le parole scambiate, il dialogo e il discernimento ai quali sono chiamati nelle tre settimane di celebrazione del Sinodo a Roma.
Ma cerchiamo di dire alcune parole che aiutino a comprendere il documento che inizia con il precisare, ancora una volta, la sinodalità, quella forma che dà il volto veritiero e fedele alla Chiesa di Cristo, in cui tutti i battezzati fanno lo stesso cammino e lo fanno insieme, vivono tra loro una comunione profonda e vivendo l’Evangelo evangelizzano. Una Chiesa sinodale è innanzitutto “assemblea dell’ascolto”, come già definita dalle Scritture sante: ascolto della parola di Dio, ascolto degli uomini, ascolto della storia. Una Chiesa che non ama l’uniformità ma esalta le differenze, non avendo paura delle diversità e nella signoria dello Spirito santo le rende non conflittuali ma armoniche e multicolorate come la sapienza di Dio.
Non c’è spazio per la philautía in una Chiesa del genere, perché ognuno si esprime con il “noi” e sente Dio come “nostro Padre” e gli altri come fratelli, tutti fratelli. Se la Chiesa sinodale è questa, è richiesto alla Chiesa un processo incessante di conversione, cambiamento concreto nel modo di vivere e stare nel mondo: perciò non è sufficiente invocare lo Spirito santo in modo quasi ossessivo, come spesso fa il documento rimandando all’azione dello Spirito ciò che oggi, ora e qui la Chiesa deve realizzare. Ormai rischia d’essere un metodo ecclesiastico quello di rimandare a una responsabilità dello Spirito ciò che è possibile realizzare da parte della Chiesa. Anche questa esaltazione e citazione frequente della “conversazione nello Spirito” che si estende per dieci paragrafi (32-42) poteva essere indicata come un metodo tra diversi altri, è infatti un metodo della scuola gesuitica.
Purtroppo di fronte a quelle che appaiono “novità”, sovente si è rimasti abbagliati e di esse restano slogan o imperativi che anziché arricchire impoveriscono.
Ma se nella prima parte vengono presentate le priorità del Sinodo (comunione, missione, partecipazione) – dove di fatto si riprendono i contributi già prodotti e pubblicati a livello di Segreteria generale – nella seconda parte, che si presenta sotto forma di Schede di lavoro, si è sorpresi dall’audacia, perché leggendole si può constatare come esse effettivamente rispettino e testimonino il contenuto delle sintesi continentali.
Va riconosciuto che la Segreteria generale del Sinodo, guidata dal cardinal Grech, ha mostrato di non nascondere, di non lasciar cadere nel vuoto nessuna delle questioni sovente brucianti e difficili da accogliere dalla maggioranza dei cattolici delle diverse Chiese. Per la prima volta, in questo Sinodo, la Chiesa cattolica ascolta il mutamento, la novità avvenuta: nella Chiesa ci sono oggi diverse sensibilità, non sulla fede ma soprattutto sull’etica e sulla forma ecclesiae nei diversi contesti culturali. Non vale più la legge che la parola di Roma risolve ogni conflitto allo stesso modo in Africa come in Germania. Si tratta, oggi, di mettere in ascolto reciproco i fedeli di aree culturali diverse, di chiedere loro un confronto per giungere insieme a un discernimento che il Papa potrà indicare come via di unità e non di scisma o di conflitto. Non è un cammino facile, ma il Sinodo a ottobre lo dovrà percorrere. E sono sicuro che lo scontro sarà tra queste Chiese di diverse culture e non tra tradizionalisti e innovatori, come molti si aspettano. Anche perché i tradizionalisti, purtroppo, non saranno presenti al Sinodo perché non invitati o non intervenuti nel cammino percorso.
Leggendo le quindici domande principali, la prima impressione è che siano in realtà fin troppe per il lavoro sinodale nell’assemblea di ottobre, ma certamente tutte pertinenti e puntuali. Alcune domande, come quella sul servizio della carità e della giustizia, sulla cura della casa comune, unita alla seconda sul tema della pace sono domande che già di per sé, per l’ampiezza della problematica evocata, potrebbero essere oggetto di un Sinodo. Altre domande riguardanti la Chiesa sinodale sono il tema proprio del Sinodo, ma restano domande molto diverse da quelle che seguono riguardanti la missione. Ed ecco, in tono minore, la domanda sulla partecipazione delle donne alla vita della Chiesa, sulla possibilità che possano essere presenti nei processi decisionali e accedere ai ministeri a tutti i livelli della Chiesa. E si rammenti che la maggior parte delle assemblee continentali ha chiesto di considerare nuovamente l’accesso delle donne al diaconato.
È un grappolo di domande che richiederanno un confronto nel Sinodo e certamente potranno almeno avviare un processo che potrebbe avere conclusione nella seconda sessione del Sinodo dell’ottobre 2024.
Infine, non manca una domanda che molti si attendevano più chiara, più esplicita e più impegnata.
Invece di tante proposizioni sull’accoglienza dei diversi per rendere credibile la promessa del Salmo 85,11: «Amore e verità si incontreranno», si dice anche: «Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e sgraditi alla comunità possano sentirsi riconosciuti, accolti, non giudicati e liberi di fare domande?». E poi si dice chiaramente che ci si riferisce a divorziati risposati, alle persone Lgbtq ecc. Mi sembra veramente un modo di esprimersi che tutti quelli che ne sono implicati rigetterebbero con sdegno.
No, si poteva usare un linguaggio più aderente alla realtà che viviamo, non così devoto e pio!
Comunque il tema è presentato al dibattito sinodale...
Sul documento vi ritorneremo.