Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Gesù è risorto dopo tre giorni per quello ebreo ci sono voluti duemila anni

24/06/2023 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2023,

Gesù è risorto dopo tre giorni per quello ebreo ci sono voluti duemila anni

La Stampa

Ágnes Heller ricorda ciò che la Chiesa e Israele avevano dimenticato

La Stampa - Tuttolibri - 24 giugno 2023

 

di Enzo Bianchi

”Il Gesù cristiano è risorto il terzo giorno. Ci vollero duemila anni per far risorgere anche il Gesù ebreo”. È questa l’idea matrice del saggio di Ágnes Heller, Gesù l’ebreo, edito da Castelvecchi, pubblicato in ungherese nel 2000. Secondo Ágnes Heller ci sono voluti duemila anni e un’incommensurabile quantità di odio da entrambe le parti prima che sia i cristiani che gli ebrei iniziassero a ricordare il fatto che Gesù era in realtà un ebreo: ”Questa consapevolezza cadde nel dimenticatoio nel corso di duemila anni: non nel senso che ci si sia dimenticati che Gesù, come si usa di re oggi, fosse ‘di discendenza ebraica’, quanto piuttosto si è dimenticato che fosse un buon ebreo. A nessuno venne in mente che Gesù non fosse cristiano – perché avrebbe dovuto esserlo? – che non conoscesse nemmeno il cristianesimo”. 

 

Grazie alla scrittura intensa e lieve della grande filosofa ungherese di origini ebraiche si confrontano e si affrontano, si identificano e si distinguono il Gesù ebreo e il Gesù cristiano: il Gesù Redentore che è risorto il terzo giorno e il Rabbi di Nazaret che vive come ebreo tra gli ebrei e che “non intendeva fondare una nuova religione”. Gesù risorto il terzo giorno appartiene alla storia della salvezza, Gesù risorto dopo duemila anni appartiene alla storia. Sì, la storia della salvezza è senza tempo, si svolge nella prospettiva dell'eternità, la storia invece è temporale, pertanto la risurrezione del Gesù ebreo non spegne il Gesù della storia della salvezza cristiana: “La risurrezione del Gesù ebreo dopo duemila anni è una questione che interessa la storia, la resurrezione di Cristo nel terzo giorno riguarda la storia della salvezza. Storia e storia della salvezza non sono in contrasto né si contraddicono, poiché si svolgono a livelli differenti”.

 

Heller non ricerca le ragioni ma discerne le circostanze e le condizioni della resurrezione di Gesù ebreo e al contempo il grande significato e l’evidente attualità della questione che implica direttamente il rapporto tra cristiani ed ebrei. Ma per avvicinarci al significato della resurrezione del Gesù ebreo occorre considerare che nel caso dell'ebraismo come del cristianesimo è necessario anzitutto parlare dell’oblio. Il giudaismo doveva dimenticare il Gesù ebreo, che gli apostoli erano ebrei “si doveva dimenticare che all’inizio la religione di Gesù fosse una varietà della religione ebraica e cioè che sia Gesù di Nazareth che il cristianesimo ebraico dovessero essere cancellati dalla storia dell’ebraismo”.  Gesù di Nazareth “è colui che gli ebrei non devono ricordarsi, che compare davanti a loro come il Dio degli odiati nemici, come colui in nome del quale sono stati assassinati”. 

 

Dal canto suo il cristianesimo ha cercato di dimenticare Gesù ebreo  creando un mito “secondo il quale con l’alleanza del Nuovo Testamento si scioglieva quella del Vecchio, Dio si è allontanato dall'ebraismo e il popolo eletto, d’ora in avanti, sarebbe stato la Chiesa cattolica al posto della cieca sinagoga: così facendo il giudaismo divenne peggio del paganesimo”. 

 

Dall’oblio alla memoria, dal momento che nessuna particolare scoperta ha contribuito alla trasformazione dell’immagine di Gesù, la figura di Gesù ebreo risorge dalla lettura dei Vangeli Sinottici che per Heller sono interpretati in maniera nuova dai cristiani stessi: “La resurrezione di Gesù ebreo si basa quasi esclusivamente, e a volte del tutto, sui testi sacri della storia della salvezza che erano conosciuti nelle comunità cristiane, e che ora iniziano a essere letti in maniera diversa”. Ma la scoperta di Gesù ebreo non si esaurisce unicamente in ciò che hanno scoperto in questi ultimi decenni i cristiani, ossia che “gli insegnamenti di Gesù non hanno infranto la legge ebraica, e Gesù non era il fondatore di una nuova religione, il cristianesimo”. Anche gli ebrei hanno compiuto un cammino, riconoscendo che “nella figura di Gesù Israele aveva un nuovo profeta, il cui messaggio – che i suoi antenati non hanno ascoltato – è arrivato in qualche modo in tutto il mondo. È stato frainteso, come si fraintendono tutti i profeti, è stato storpiato fino quasi a renderlo irriconoscibile, ma solo quasi: oggi abbiamo infatti la possibilità di comprendere il suo messaggio originale”. Heller cita un passaggio di Géza Vermes, secondo il quale “Sono già stati fatti i primi, ancora incerti, passi in questa direzione, per ricollocare Gesù nella comunità dell’antico cassidismo e avverare così la profezia di Martin Buber: ‘Egli ha un posto di rilievo nella storia della fede d’Israele”.

 

Per la filosofa ungherese Auschwitz e Gerusalemme incarnando entrambe la devastazione rappresentano due simboli religiosi di situazioni radicalmente opposte. “Auschwitz non è solo un nome di luogo, ma è il contrario di Gerusalemme”, così che la catastrofe irrazionale di Auschwitz ha qualcosa a che fare con la resurrezione di Gesù. Se a Gesù ha pianto la distruzione di Gerusalemme, ad Auschwitz il popolo ebraico doveva essere sterminato e lì i cristiani sono diventati Caino per il popolo loro fratello, il popolo dell’innocente Abele, l’Abele collettivo: “Alcuni fedeli cristiani cominciarono a sentire che ad Auschwitz Gesù veniva simbolicamente rimesso  in croce e ucciso (…) il cristianesimo deve ricordarsi dei peccati nei confronti dell’ebraismo e di dimenticare le interpretazioni diffamatorie che l’antiebraismo ha trasmesso di generazione in generazione. Non c’è altra scelta che far resuscitare il Gesù ebreo”.

 

Ágnes Heller individua un’ultima circostanza che consente al Gesù ebreo di risorgere dopo duemila anni, la nascita dell’ecumenismo, la possibilità del riconoscimento reciproco tra cristianesimo ed ebraismo, del dialogo, della ricerca di ciò che unisce, della convivenza pacifica. Dal testo di Heller emerge con forza come la riscoperta del Gesù ebreo trasformi il concetto filosofico di verità totalizzante e muova verso un processo ecumenico di conciliazione e di arricchimento reciproco tra ebraismo e cristianesimo come tra le altre religioni. Ma ad Heller occorre ricordare che se è certamente  vero che accanto ai cristiani c’è un fratello, popolo di Dio, Israele “cui appartengono le promesse, le benedizioni, la gloria, le alleanze ... e da cui proviene Cristo” (Rm 9,4 ss.), resta altrettanto vero ciò che non possiamo negare: Cristo Gesù unisce Israele e la Chiesa e al tempo stesso separa Israele e la Chiesa. Ci unisce come ebreo, figlio di ebrei, credente giudeo, profeta in opere e parole; ma ci separa come Messia, figlio di Dio, unico mediatore della nostra salvezza. Non c’è dunque per ora una sola missione di Israele e della Chiesa nei confronti del mondo: restano due e diverse, in attesa che si compiano “i tempi dei pagani”, i tempi dell’evangelizzazione, e che Dio porti a unità ciò che a causa del peccato è stato diviso. 

 

Ágnes Heller avrà senz’altro conosciuto la nota affermazione con la quale il rabbino riformato tedesco Schalom Ben Chorin (1913-1999), sintetizzo i rapporti tra ebrei e cristiani: “La fede di Gesù ci unisce, la fede in Gesù ci divide”. Risorto dopo duemila anni il Gesù ebreo ancora unisce e divide.