Il Fatto Quotidiano - 21 Ottobre 2023
di Enzo Bianchi
Nel iv secolo l’impero romano diventa cristiano; Cesare, il grande persecutore dei giudei e dei cristiani, con Costantino imperatore diventa addirittura “capo della chiesa” e non solo mette fine alla persecuzione ma dichiara il cristianesimo religione dello stato. È talmente “signore” di questa chiesa che convoca i vescovi di tutta l’orbe a Nicea per un concilio, lo presiede e ne sostiene tutte le spese. In molti cristiani nasce imperiosa una domanda: com’è possibile che chi ha perseguitato e torturato i vescovi ora paghi loro il taxi per andare a Nicea? La chiesa è sotto shock, una chiesa nella quale erano maturati in tre secoli germi di radicalismo evangelico, in cui si sentiva il desiderio di rivivere la forma della comunità ecclesiale dei tempi apostolici. Proprio in questa congiuntura nasce un movimento di fuga dal mondo, fuga dalla mondanità che si era instaurata nella cristianità. Uomini e donne decidono di fare anacoresi, di “allontanarsi” in solitudine, verso il deserto, sui monti disabitati, là dove Cesare non regnava. In Egitto, in Palestina, nella Siria ci sono cristiani che vanno nel deserto per abbracciare una nuova forma di vita, quella eremitica. Una vita di celibato e di preghiera interamente finalizzata a vivere il Vangelo e ad attendere il Regno veniente del Signore. È abba Antonio la figura eminente di questo movimento. La sua vita, scritta dal Patriarca di Alessandria Atanasio, diventerà per i cristiani un Best Seller e sarà letta dal Medioriente al nord della Germania, alla Spagna, ispirando molti discepoli a imitare Antonio e dunque a vivere da eremiti.
Ma subito dopo si sente il bisogno di organizzare la vita eremitica, a volte un po’ disordinata e precaria, in vita cenobitica, vita comune in un monastero sotto la guida di un uomo spirituale, l’Abba. Pacomio è l’inventore di questa forma di vita e fonda decine di comunità in tutto l’Egitto con un irradiamento della vita monastica comune che ne farà la “via maestra”, la via più attestata sia in oriente che in occidente. Alla fine del iv secolo si può dire che se i monaci avevano lasciato la città ora era la città ad andare verso i monaci nel deserto perché nel deserto i monaci avevano costruito una città!
Ed è in questa spontanea espansione che in occidente, a sud di Roma, nasce un monachesimo con caratteristiche ben precise: Benedetto da Norcia, ispirandosi a Regole precedenti, scrive la sua Regola dei monaci, che attraverserà i secoli fino a oggi, sempre capace di fecondità e di dare forma di vita monastica a esperienze diverse rendendole identiche nella sostanza ma differenti nelle realizzazioni.
Nel Prologo Benedetto illustra quattro tipi di monaci che lui osservava nel suo tempo: gli eremiti, che vivono in perfetta solitudine; i girovaghi, o monaci instabili, che girano, fanno pellegrinaggi, mendicano da monastero a monastero: sovente geniali, veri outsider, non sempre accettati e giudicati positivamente. Poi Benedetto parla dei sarabaiti, cioè di quei monaci – e ce ne sono oggi più di allora – che fanno quello che vogliono. Si trovano dappertutto: presso chiese, presso monasteri, in raduni. Sono regola a se stessi senza mai conoscere l’obbedienza; sono “monaci da vetrina”, hanno l’abito ma non la vita. E infine Benedetto parla di monaci che vivono insieme sotto la guida di un abate: sono il genus fortissimus cenobitorum, il fortissimo genere dei cenobiti!
Sono soprattutto questi ultimi i monaci che nel medioevo hanno avuto il grande compito di trasmettere la cultura oltre che la fede. Erano uomini di preghiera innanzitutto (sette volte al giorno cantavano insieme in chiesa la lode al Signore!), ma anche di lavoro: hanno coltivato terre incolte, prosciugato paludi, aperto strade, sviluppato l’agricoltura, canalizzato fiumi e torrenti… e hanno letto, hanno fatto lunghe ore di lettura. Questo al monaco è comandato: ora, lege et labora.
Proprio attorno a questa vita cenobitica sono nati, nel medioevo, centri di irradiamento culturale e cristiano, luoghi di ricerca e di studio, luoghi di trasmissione della sapienza degli antichi. Quante abbazie dal Portogallo alla frontiera orientale dell’Europa segnavano le tappe sulle strade ed erano luoghi di sosta, di accoglienza, di riparo… Fino alla straordinaria fioritura del monachesimo di Cluny, in Borgogna, dove i grandi abati e gli scrittori teologi erano una cattedra per la cattolicità. E se Cluny era il centro di irradiamento di Pietro il Venerabile e di Abelardo, a Citeaux Bernardo di Chiaravalle e i cistercensi (la prima riforma del monachesimo benedettino) ispiravano una nuova forma di vita monastica, più legata al lavoro della terra e più ascetica di quella benedettina. Ma c’era bisogno di un’ulteriore differenziazione: l’albero monastico si era talmente esteso che i rami richiedevano forme proprie di vita e di fruttificazione. Così già verso il 1000 Romualdo pensa di organizzare una vita di eremiti non più esiliati sui monti ma raccolti in un eremo, con celle le une accanto alle altre, pur preservando la vita eremitica. E anche Bruno di Colonia, con la fondazione della Certosa, raduna eremiti salvaguardando lo stile solitario.
Questo è il monachesimo che attraversa il medioevo in occidente e ne è un ispiratore essenziale che non può essere dimenticato. Ma non si pensi che si sia spento con il medioevo e non esista più. In Francia ci sono almeno sette monasteri che vivono come si viveva intorno all’anno 1000 in un monastero benedettino. Basterebbe recarsi all’abbazia di Le Barroux (Avignone) per fare esperienza di un monachesimo vivo, evangelico, gioioso, fedele alla tradizione e fervente di vocazioni. Un monastero che sa narrare chi erano i monaci nel medioevo e dove ancora oggi si persegue quello stile di vita!