La Repubblica - 29 Gennaio 2024
di Enzo Bianchi
Di fronte alla richiesta di molti episcopati e di cattolici presenti soprattutto in occidente, Papa Francesco, che fin dall’inizio del suo pontificato ha mostrato di dare alla carità e alla misericordia il primato assoluto nella vita ecclesiale, ha concesso, o meglio ha esplicitato, la possibilità di dare la benedizione a quanti vivono una situazione contradditoria alla dottrina cattolica: divorziati, persone conviventi, omofili, eccetera. Perché se finora sono stati esclusi, emarginati e giudicati per la condanna della chiesa, possano invece vivere, sentirsi nella comunione, e riconosciuti per il bene che sanno vivere tra loro e con gli altri.
Benedire qualcosa o qualcuno significa lodare e ringraziare Dio per la creazione, la presenza di quelle realtà o di quelle persone. Per questo, il Papa non intende certo assimilare la benedizione delle copie omofili al matrimonio – che nella tradizione cattolica è un sacramento –, e dunque tale benedizione non può essere mai liturgica, né avvenire in una assemblea ecclesiale eucaristica o semplicemente orante. Quelli che chiedono la benedizione, secondo le opportunità offerte dalla vita quotidiana, possono ottenerla: nella piena consapevolezza, però, che questo non significa un’approvazione o una conferma implicita accordata al loro comportamento ma solo un riconoscimento delle pepite d’amore che sono presenti nella loro relazione come sono presenti nelle copie nuziali formate da uomo e donna. Le persone sono sempre più grandi del loro peccato come ha testimoniato Gesù!
È la conoscenza della realtà quotidiana che spinge il cristiano che conosce e frequenta persone che sono in queste situazioni, considerate irregolari dalla chiesa cattolica, a discernere che, come in ogni coppia, anche in queste c’è amore, dedizione, cura e reciproca sopportazione: come si potrebbe allora non ringraziare e benedire Dio per i suoi doni, per il bene che si manifesta nella loro vita?
Nell’Antico Testamento e nell’apostolo Paolo c’è la condanna di queste situazioni: coabitazione, omosessualità, incesto... e la chiesa, in obbedienza alla parola di Dio contenuta nelle sacre Scritture, deve rileggere queste prese di posizione e interpretarle tenendo conto del tempo in cui viviamo. Ma oggi, lo dobbiamo confessare, chiese di interi continenti e minoranze cattoliche nell’occidente, non sono in grado di interpretare la Scrittura se non in senso letterale, con una lettura che non tiene conto degli apporti della critica storica e antropologica.
Circa la possibilità della benedizione delle coppie irregolari il cardinale Fridolin Ambongo, che è a capo dei vescovi africani, ha dichiarato: “Questa al nostro popolo non interessa!”, appoggiando così gli episcopati africani che non accettano l’apertura papale. La stessa situazione si può leggere nell’Europa dell’est e in Asia. Così si prende consapevolezza che le chiese cattoliche regionali non sono contemporanee tra loro, che la cultura determina la morale, l’etica, che ormai la comunione non può essere più uniformità ma deve essere plurale. Per Papa Francesco non è facile presiedere all’unità di una tale chiesa: non si corre il rischio della formazione di chiese nazionali nella cattolicità perché il virus del sovranismo e del filetismo è assente, ma è possibile che alcune chiese si rifugino nel passato rifiutando il mondo contemporaneo e vedendo in ogni dialogo e confronto della chiesa con la società reale una tentazione dettata dall’anticristo. Una visione che ispira quelli che condannano “i costumi decadenti dell’occidente!” con il loro ossessionante primato dei diritti individuali. Non è un caso che così già si muovano le chiese ortodosse slave.