Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

La memoria di un popolo perdente può illuminare la crisi in Terra Santa

30/01/2024 00:00

ENZO BIANCHI

conferenze 2024,

La memoria di un popolo perdente può illuminare la crisi in Terra Santa

ENZO BIANCHI

La Stampa - Tuttolibri  - 27 gennaio 2024

 

di Enzo Bianchi

La giornata della memoria di quest’anno è oltremodo dolorosa in ragione delle sofferenze che vivono i popoli che abitano la Terra santa. Per questa ragione è una memoria che assume significati del tutto peculiari e provoca interrogativi necessari. Può la drammatica attualità alterare la tragica memoria della shoah? È lecito strumentalizzare indebitamente il ricordo della “catastrofe”? Fare memoria del passato può dare strumenti di conoscenza e di interpretazione del presente? 

Ma fare memoria non è semplicemente ricordare per non dimenticare ma è un “fare” per vivere l’oggi con coscienza e consapevolezza. Nonostante le ferree regole dell’analisi grammaticale, “memoria” è un sostantivo concreto, e il verbo che più gli si addice non è l’aulico “commemorare”, né l’ormai tecnico “memorizzare”, e nemmeno il pur significativo ausiliare “avere”, bensì il servile, quotidiano, materiale “fare”. Sì, l’essere umano è capace di “fare memoria”, che significa non solo custodire, ma anche rielaborare un ricordo, trasformarlo in principio e fondamento dell’agire, in motivazione etica: memoria non è solo conservazione, ma è sempre anche costruzione. È grazie all’aver visto e vissuto determinate cose, all’averle consapevolmente assunte come parte del nostro patrimonio culturale interiore, al saperle riattualizzare narrandole a chi non le aveva conosciute, che saremo determinati a comportarci in un modo piuttosto che in un altro, a cercare di ripetere un’esperienza che la nostra memoria giudica positiva e a rifuggire una realtà il cui ricordo ci fa esclamare “mai più”.

Storia culturale degli ebrei di Piero Stefani e Davide Assael edito da Il Mulino è un atto di memoria della millenaria storia del popolo ebraico. È un racconto elevato ed autorevole a due voci, quella del biblista Stefani e del filosofo Assael che hanno unito le loro competenze per guidare il lettore attraverso la più grande capacità che da millenni caratterizza la religione, la cultura, la civiltà e dunque il modo di stare al mondo degli ebrei: l’inesausta e diremmo eterna capacità di narrare e trasmettere le vicende del loro popolo. La “capacità memoriale” è elemento cardine che caratterizza il popolo ebraico, ed è questo che gli ha consentito di continuare collettivamente a esistere di generazione in generazione. 

L’indubbio interesse di Storia culturale degli ebrei è la diversa identità e formazione dei due autori. Solo uno dei due è ebreo, Assael, hanno scritture, modo di esprimersi e orientamenti culturali apertamente diversi e nonostante questo i loro apporti non si accostano ma si completano. Nell’introduzione del volume, curiosamente parlando di sé stessi in terza persona, riconoscono che “la loro diversità appare feconda e coerente con un approccio culturale sensibile a una pluralità di apporti e di influenze reciproche”. Il lavoro nel suo insieme è condiviso dai due autori, tuttavia di Stefani sono i primi sette capitoli che vanno dalla consegna della Torah a Mosè sul Sinai, passando per le molteplici elaborazioni culturali dell’ebraismo quali il giudeo-ellenismo, alle correnti culturali ebraiche del primo secolo al Talmud, dalla qabbalah al chassidismo fino alle lacerazioni vissute dagli ebrei nella prima età moderna. Assael prosegue a partire dalla storia degli ebrei d’Occidente e d’Oriente dall’Illuminismo all’emancipazione, passando poi alle vicende legate ai totalitarismi novecenteschi, allo spartiacque rappresentato dalla Dichiarazione d’indipendenza del 14 maggio 1948, fino a giungere alla situazione drammatica creatasi dopo l’attacco del 7 ottobre 2023 portato da Hamas e la durissima risposta israeliana. “Resta fuori discussione – osservano gli autori – che questi terribili fatti sono un’ulteriore prova di quanto non siano più prorogabili temi, come quello dei confini dello Stato d’Israele, lasciati in sospeso per troppi anni per timore di non trovare una sintesi fra le diverse anime ebraiche presenti nel paese”. 

Agli occhi di Stefani e Assael la chiave di lettura che caratterizza il cammino millenario della storia culturale degli ebrei è la dialettica tra universale e particolare che è costitutiva dell’identità ebraica. Tutti i capitoli del libro sono attraversati da questo approccio dialettico che è, al tempo stesso, la cifra interpretativa che unisce i contributi dei due autori. Il presupposto basilare è che il popolo d’Israele ha dato all’umanità il Libro dei Libri. È ciò che afferma la Dichiarazione d’indipendenza del moderno Stato Ebraico: “In terra d’Israele è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita di indipendenza nazionale, qui ha prodotto valori culturali di portata nazionale e universale e ha consegnato al mondo l’eterno Libro dei Libri”. A questo libro redatto da un popolo storicamente più perdente che trionfante è affidata l’ineguagliata incidenza avuta dalla civiltà ebraica sulla storia mondiale. Un’universalità insita nel libro stesso, dal momento che quando la Torah fu costituita si scelse di cominciare guardando all’umanità intera è non dalla propria nazione: “In principio c’è l’Adam, non l’ebreo”, osserva Piero Stefani. Il libro posto a fondamento della tradizione ebraica narra estesamente di molte altre civiltà, la “tavola dei settanta popoli della terra” narrata in Genesi è l’attestazione delle relazioni che i popoli avevano tra loro, ed è straordinariamente universale nei suoi orizzonti e nella sua apertura. “Questa via non fa, peraltro – osserva Stefani – che rendere evidente quanto è insito nell’idea stessa di identità, vale a dire che la definizione di sé stessi comporta sempre un confronto con gli ‘altri’”.

Per Davide Assael l’ebraismo non solo non è estraneo a ideali universalistici, ma dal momento che ha riconosciuto la comune origine adamitica di ogni essere umano, indipendentemente da distinzioni etniche o di genere, può esserne a giusto titolo considerato il fondatore. Percorsa e interpretata con grande lucidità ed equilibrio la storia dei sionismi, Assael giunge in fine a individuare le sfide future che attendono l’ebraismo. A suo giudizio, dall’inizio del nuovo millennio ad oggi all’intera comunità ebraica, israeliana e diasporica, si è imposto un processo di ridefinizione che “sembra allontanarla dall’equilibrio fra principi etici universali e identità particolare”, che caratterizzava il sionismo del secolo scorso. Quell’equilibrio dei due poli espressamente affermato nella Dichiarazione di indipendenza del 1948: “Lo Stato d’Israele sarà aperto all’immigrazione ebraica e alla riunione delle diaspore; incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti; sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace, secondo la visione dei profeti d’Israele; assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti, senza distinzione di religione, razza o sesso; garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua , di istruzione, di cultura; preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite”.

Poter avere tra le mani La storia culturale degli ebrei di Stefani e Assael significa poter “fare memoria” del millenario cammino di un popolo che oggi stata vivendo un passaggio storico che ripropone implacabilmente la dialettica interna che costituisce l’identità culturale dell’ebraismo, “identità da sempre sospesa tra Oriente e Occidente, fra Israele e diaspora, fra universale e particolare”.