Il sociologo Diotallevi sulla partecipazione ai riti religiosi: in calo soprattutto le donne
La Stampa - Tuttolibri - 20 aprile 2024
di Enzo Bianchi
Tra facile fatalismo e apatica rassegnazione, negli ambienti ecclesiali si ripete come un refrain l’espressione: “dopo il covid la partecipazione alla messa è dimezzata”. Si ha l’impressione che attribuendo alla pandemia il crollo nella partecipazione al rito religioso per eccellenza in Italia, la cosiddetta “Santa Messa”, si vogliano ignorare o ancor peggio negare le sue reali cause ormai da tempo in atto e, al tempo stesso, rinunciare ad assumersi le responsabilità di fronte a un fenomeno così religiosamente devastante e socialmente rilevante. Che riversare la colpa sul look down sia un alibi e una scusa ora lo dimostra scientificamente anche uno dei più noti e autorevoli sociologi della religione, Luca Diotallevi, ordinario di Sociologia presso l’Università di Roma TRE. Nel saggio La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019, edito da Rubbettino, l’autore mostra che se si osservano i valori relativi alla partecipazione ai riti religiosi presentati dalla grande rivelazione annuale dell’istat per gli anni 2015-2021, si deve costatare che la regressione alla partecipazione alla messa domenicale era già in atto da anni.
Dati alla mano, il sociologo di Roma Tre mostra ciò che da tempo tutti costatano: il crollo verticale della partecipazione alla messa della domenica. Si è passati dal 37,3 % della popolazione adulta nel 1993 al 23,7 del 2019. I giovani che dichiarano di frequentare sono l’8 % e gli adolescenti il 12 %. Nel 2019 le donne maggiorenni che dichiarano una pratica almeno settimanale sono ancora più degli uomini: il 28,7 % delle prime contro il 18,3 % dei secondi. Tuttavia il dato da evidenziare è che nel caso delle donne si è perso quasi il 40% del valore registrato nel 1993 e nel caso degli uomini poco più del 30%. Il declino alla frequenza al rito domenicale è dunque più veloce tra le donne che tra gli uomini, ed è evidente che questo gender factor ha consistenti e crescenti effetti tanto religiosi quanto extrareligiosi, e questo fattore nuovo produrrà ulteriori e profonde trasformazioni. La vita ordinaria delle parrocchie italiane è infatti composta prevalentemente da donne così come l’educazione religiosa dei figli nelle famiglie.
Il primo risultato che Diotallevi costata dai dati da lui analizzati è il venir meno di quella che solo due decenni fa i sociologi definivano “l’eccezionalità del caso italiano” (insieme a quello statunitense) – e aggiungerei polacco –, un’eccezionalità ormai scomparsa, che la letteratura sociologica sembra aver accolto con generale consenso. Anche l’Italia, come negli USA, la pratica religiosa domenicale conosce un declino marcato. Del resto, nella rilevazione globale condotta nel 2020 dal sociologo statunitense Ronald Inglehart l’Italia risultava tra i Paesi in cui il declino religioso tra il 2007 e il 2019 era stato più forte.
La ragione per cui Diotallevi ha scelto questo preciso periodo per l’analisi, dal 1993 al 2019, è semplice: è a partire infatti dal 1993 che l’Istituto Nazionale di Statistica (istat) presenta ogni anno la sua rilevazione (Aspetti della vita quotidiana), che rileva informazioni fondamentali relative alla vita quotidiana degli individui e delle famiglie. Frutto di più di quarantamila interviste, le informazioni raccolte consentono di conoscere le abitudini dei cittadini, tra le quali la pratica religiosa. L’autore ha intenzionalmente limitato la sua ricerca non oltre il 2019 per escludere i comportamenti dati dal look down, il quale, in realtà non ha inciso in nulla rispetto al già avviato declino della partecipazione alla Messa. Come avviene nelle situazioni di guerra, terremoti, pandemie ecc. i processi sociali già in atto ricevono una accelerazione. La pandemia non ha fatto altro che accelerare il processo di secolarizzazione in atto. Aggiungere gli anni dal 2020 e al 2022 non avrebbe aggiunto risultati significativi, ma semplicemente confermato la tendenza esistente.
La messa non è finita, ma di certo è sbiadita. L’utilizzo della metafora dello “sbiadirsi” è scelto da Diotallevi per ritrarre ciò che emerge dall’insieme dei dati esposti nel volume, dati che confermano quel fenomeno che l’ormai consistente letteratura sociologica internazionale riscontra: l’affermarsi di una religione “low intensity”, come l’ha denominata il sociologo britannico Bryan Stanley Turner. Una messa sbiadita che corrisponde allo sbiadirsi del rilievo sociale del rito religioso altamente istituzionalizzato È sbiadita perché l’influenza della partecipazione alla messa negli altri ambiti della vita sociale – legami sociali, voto politico, prassi morale – si avverte sempre meno. Solo cinquant’anni fa si rilevava sociologicamente un legame molto forte: “andare a Messa” faceva la differenza oggi non più.
Per la conoscenza che ho della vita delle comunità parrocchiali e per l’assiduità con i parroci con i quali mi confronto frequentemente e di cui ascolto le confidenze, le cifre relative alla pratica domenicale presentate dallo studio di Diotallevi sono molto superiori a quelli reali. Non va dimenticato che questo studio si basa non sull’effettiva partecipazione alla Messa ma sulle autodichiarazioni della frequenza alla Messa, che è ben altra cosa. I sociologi sanno bene che occorre scontare una sovrastima del fenomeno: più persone di quelle che vanno realmente alla Messa dichiarano di andarci. Un “vizio” molto italiano di dichiarare ciò che non fanno, lo stesso che invita a prendere sempre con le pinze i risultati degli exit polls in occasione delle votazioni.
Il prezioso studio rigorosamente sociologico di Diotallevi conferma quanto a livello teologico sempre più si osserva. In modo accelerato si è scoperto ciò che, in realtà, prima della pandemia non si voleva vedere: la diminutio in atto della comunità ecclesiale, perché per molti le liturgie sono diventate irrilevanti, non dicono più nulla, sono afone di parole significative, e per alcuni ormai anche incomprensibili.
Quante volte mi si spezza il cuore quando andando nelle chiese le ritrovo deserte! Chiese che un tempo avevo frequentato partecipando ad assemblee festose tra canti di gioia, mentre oggi... E mi chiedo: ci saranno ancora liturgie qui, in questa nostra terra di antica cristianità? O ci saranno soltanto liturgie domestiche, per piccoli gruppi e comunità?
Occorre interrogarsi con audacia sul futuro della liturgia, nonostante questa sia un’ora in cui attorno all’eucaristia si consumano lotte, contestazioni, divisioni e scismi nella stessa Chiesa cattolica. Sembrerebbe che questo non sia il momento opportuno per guardare al futuro della liturgia che è un tema incandescente e divisivo, tuttavia resta necessario per rispondere al bisogno dei credenti che chiedono “pane”, cibo per le loro vite.
Oggi più che mai i cristiani chiedono che la liturgia sia viva di parole, segni, azioni umanissime. Ciò che era straordinario in Gesù era la sua umanità, e nella liturgia devono apparire le sue azioni, le sue parole, incarnazione di lui Logos eterno. Nell’omelia del 6 gennaio 2022 papa Francesco domandava: “Le nostre parole e i nostri riti accendono nel cuore della gente il desiderio di incontrare Dio o sono lingua morta?”. Si prenda atto che i risultati dell’inchiesta sulla partecipazione ai riti religiosi in Italia fornita da Diotallevi danno una chiara, impietosa e ineludibile risposta.