Gli scritti del Cristianesimo letti e commentanti da ottanta studiosi ebrei di fama mondiale
Per credenti e non, dell’una e dell’altra religione, per correggere luoghi comuni e stereotipi
La Stampa - Tuttolibri - 10 febbraio 2024
di Enzo Bianchi
C’è un documento che è una pietra miliare nel dialogo tra ebrei e cristiani, un documento tanto eccellente quanto ignorato dai più: Dabru emet (“Dite la verità”) pubblicato dal The New York Times il 10 settembre del 2000. È un appello firmato da un nutrito numero di studiosi e teologi ebrei (riformati, conservatori e ortodossi), rappresentanti dell’ebraismo negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna e in Israele. Questo manifesto ebraico riconosce l’avvenuta correzione del tradizionale insegnamento cristiano circa l’ebraismo e il rimorso sincero per tale prassi secolare ma, al tempo stesso, esprime “la gioia perché attraverso il cristianesimo centinaia di milioni di persone sono entrate in relazione con il Dio di Israele”. Questo appello fuga ogni timore ricordando come il miglioramento dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo non avrebbe accelerato quell’assimilazione culturale e religiosa che gli ebrei ragionevolmente possono temere, e non si sarebbe creato un falso miscuglio fra giudaismo e cristianesimo: “Rispettiamo il cristianesimo come fatto che ha avuto origine all’interno dell’ebraismo e che tuttora ha contatti significativi con esso. Non lo consideriamo un’estensione del giudaismo”.
All’inizio del nuovo millennio Dabru emet attestava l’avvenuta ricezione della svolta da parte degli ebrei; questo dato non ha fatto altro che accrescere, negli ultimi due decenni, la speranza di un nuovo rapporto che fosse un confronto, una conoscenza e una cordiale dialettica tra le due religioni. Va certamente riconosciuto che anche negli ultimi due decenni non sono mancati tentativi di ridestare l’arroganza dei cristiani, quella logica di inimicizia che crea il nemico, quella pretesa di possedere la verità contro l’altro o senza l’altro. Ciascuno però non potrà più invocare l’ignoranza a propria scusante: ciascuno è e sarà responsabile in prima persona di una conferma o di una contraddizione della svolta epocale che il dialogo tra ebrei e cristiani ha avuto a partire soprattutto dal concilio Vaticano II e lungo tutta la seconda metà del Novecento.
La certezza espressa in Dabru emet che la nuova unità tra ebrei e cristiani non avrebbe indebolito la fede ebraica, ha trovato una autorevole e prestigiosa conferma nel 2011 con la pubblicazione da parte di Oxford University Press di un’opera pioneristica, il The Jeswis Annotetated New Testament che la vivace editrice Queriniana di Brescia ha ora l’indiscusso merito di pubblicare nella seconda edizione del 2017: Il Nuovo testamento letto dagli ebrei, Amy-Jill Levine – Marc Zvi Brettler (edd.), edizione italiana a cura di Flavio Dalla Vecchia.
È un’opera auspicata e attesa da anni, che va accolta come nell’arte e nella letteratura si accoglie l’avanguardia, vale a dire con l’interesse verso ciò che è innovativo, con quel gusto del nuovo che ogni ricerca avanzata stimola. Dobbiamo essere riconoscenti per questa monumentale volume di quasi mille pagine, opera di oltre ottanta studiosi ebrei di fama mondiale che per la prima volta sono riuniti per scrivere un commentario completo del Nuovo Testamento.
I redattori Levine e Brettler dichiarano che “questo libro è stato composto per permettere a tutti i lettori di capire ciò che i testi del Nuovo testamento significano nel loro contesto sociale, storico e religioso”. L’impianto dell’opera è molto didattico, rigoroso senza essere pedante: ogni libro del Nuovo Testamento è preceduto da un’introduzione che contestualizza il libro nel giudaismo della sua epoca. A questo si aggiunge un approfondito lavoro esegetico che analizza versetto per versetto, al quale si inseriscono, a margine del testo, una novantina di box tematici. Abbondanti e ricchi i rimandi e i parallelismi testuali con citazioni tratte dalle più importanti fonti ebraiche, tra le quali Filone, Flavio Giuseppe, i Rotoli del Mar Morto, gli apocrifi, i targumim, la letteratura rabbinica e altro ancora.
Di grande interesse sono indubbiamente i cinquantaquattro saggi monografici suddivisi per grandi arie tematiche: storia, società movimenti, ebrei e gentili, pratiche religiose, credo religioso, letteratura, risposte al Nuovo Testamento. Ogni area sia articola in saggi affidati ciascuno a un autore. Alcuni esempi: la rivolta contro Roma, i farisei, la circoncisione, Logos come parola ebraica (il prologo di Giovanni come midrash), aldilà e risurrezione, il compimento delle scritture, Gesù e il Nuovo Testamento nella moderna cultura yiddish ed ebraica.
Nella lettura e nell’interpretazione del Nuovo Testamento i lettori ebrei possono incontrare alcuni problemi che il volume affronta con senza complessi o pregiudizi, evitando soluzioni riduttive, specie quei passaggi che perpetuano stereotipi negativi su ebrei o gruppi di ebrei – ad esempio i farisei o i “giudei” nel Vangelo secondo Giovanni – che ancora oggi faticano a morire, oppure versetti del Nuovo Testamento. Passaggi utilizzati come argomento scritturistico dell’antigiudaismo e dell’insensata accusa di deicidio. Basti pensare alla citazione di Matteo 27,25: “E tutto il popolo rispose: il suo sangue ricada su i nostri figli”. Commentando questa citazione, tristemente nota come “grido di sangue”, Aaron M. Gale osserva: “È stata usata da alcuni cristiani nel corso dei secoli per asserire che tutti gli ebrei di tutti i tempi e di tutti i luoghi erano responsabili collettivamente della morte di Gesù. È più probabile che la frase rifletta l’interpretazione matteana degli eventi tragici del 70 e.v., quando Roma distrusse Gerusalemme e dette alle fiamme il tempio: i figli della folla di Gerusalemme furono quelli che assistettero a tale distruzione”.
Quest’opera è talmente importante da rappresentare un punto di riferimento nel processo religioso, storico e culturale dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo. È infatti indispensabile ai cristiani per acquisire una maggiore consapevolezza del contesto ebraico dal quale è nato il Nuovo Testamento. Sì, il Nuovo Testamento sta nell’ebraismo come un pesce sta nell’acqua: non solo Gesù e Paolo erano ebrei, ma che autori come Matteo, Giovanni e Giacomo erano ebrei. Altri scrittori dei libri del Nuovo Testamento, quali gli estensori del Vangelo secondo Luca e degli Atti degli apostoli, sebbene non fossero verosimilmente ebrei erano imbevuti di pensiero ebraico del I e del II secolo.
Allo stesso modo, questa lettura ebraica della Scritture cristiane è fondamentale agli ebrei per conoscere i testi del Nuovo Testamento. “Come noi ebrei desideriamo che i nostri vicini capiscano i nostri testi, le nostre credenze e pratiche, così anche noi dovremmo comprendere gli elementi basilari del cristianesimo”, annotano i curatori, per i quali il volume è stato scritto per consentire agli ebrei di avere una maggiore familiarità con il Nuovo Testamento, anche a quelli che “addirittura hanno paura di leggerlo”. Al tempo stesso sperano “che i lettori non-ebrei imparino ad apprezzare che alcune sezioni rilevanti del Nuovo Testamento derivino dal cuore del giudaismo, e siano in grado di capire questi testi senza sovrapporre false nozioni alla tradizione di Gesù e dei suoi primi seguaci”.
Levine e Brettler riconoscono che “lo studio del Nuovo Testamento ha reso molti ebrei, inclusi i curatori di questo volume, degli ebrei migliori e più informati”. Il nostro auspicio è che la lettura di questo volume renda molti cristiani, incluso l’autore di questa recensione, dei cristiani migliori, più informati, più consapevoli che l’ebraismo dell’Antico Testamento è la radice da cui sono stati generati e che gli ebrei sono loro fratelli gemelli.