Il fondatore della Comunità di Bose: “L’appello era a Kiev che continua a chiedere armi ma serve una trattativa per non andare incontro al male peggiore e irrimediabile”
La Stampa - 12 Marzo 2024
Intervista di Domenico Agasso a Enzo Bianchi
«Papa Francesco ha chiesto il coraggio del negoziato per porre un termine alla morte di uomini e donne russi e ucraini e per evitare che questa guerra sostenuta dai fabbricatori e venditori di armi diventi un suicidio per l’Ucraina».
Non ha dubbi Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose e della fraternità cristiana Casa della Madia - dove vive oggi - promotore dell’ecumenismo e storico interlocutore con l’ortodossia di Mosca e Kiev.
Fratel Bianchi, ci descrive il messaggio di Bergoglio?
«Il Pontefice da sempre mantiene questa posizione: ci vuole la disponibilità al negoziato di entrambe le parti. Ora in questa sua dichiarazione nell’intervista alla Radiotelevisione svizzera (Rsi) c’è un appello soprattutto all’Ucraina, che continua a chiedere aiuti e armi. Addirittura esiste l’ipotesi che vengano inviati militari dalla Nato. Mentre si protrae la guerra contro una potenza mondiale enorme. Si corrono così due rischi drammatici».
Quali?
«Da un lato si proseguirà con morti e feriti da entrambe le parti e la devastazione radicale dell’Ucraina. Terra che è cara al Papa. Allo stesso tempo c’è il pericolo che si passi a un livello maggiore, quello della guerra nucleare: qualche volta Putin l’ha evocata come ipotesi. E stiamo attenti perché è un personaggio che, purché la Russia vinca, è capace anche di arrivare a tale mossa catastrofica. La Russia in questo momento è segnata dall’ideologia del primato morale, spirituale ed etico, che deve essere anche politico e militare. Questo dovrebbe intimorirci, e spingerci di conseguenza a cercare delle vie di rappacificazione con Mosca, altrimenti aumenteranno sempre di più distruzione e morte».
C’è chi dice che Francesco con la sua richiesta abbia fornito un «assist» a Putin.
«Non è così. Non si può sostenere che il Papa sia pro-Putin. Il suo è stato un modo di chiedere una pacificazione. Recentemente ne ho anche parlato con
lo stesso Pontefice: per il Santo Padre c’è l’aggressore, la Russia, e c’è il Paese aggredito, l’Ucraina. Punto. Anche se va aggiunta una precisazione».
Dica.
«In questi anni attorno al Paese aggredito c’erano potenze che non smettevano di agire lanciando segnali geopolitici dalla portata minacciosa e preoccupante per l’aggressore».
A chi e che cosa si riferisce?
«Soprattutto alla presenza della Nato. Lo dicono anche molti osservatori che non sono schierati a favore della Russia. E non si può trascurare neanche che le popolazioni russe in quei territori ora occupati erano vessate e perseguitate».
Che cosa prevede per il futuro prossimo? Intravede una tregua?
«Ho molto timore che Zelensky voglia a ogni costo andare avanti nel conflitto,
senza dare ascolto agli appelli. Le invocazioni per un cessate il fuoco non provengono soltanto dai “pacifisti”, ma anche da alcuni governi occidentali che suggeriscono di puntare a una tregua finalizzata a un negoziato».
Dunque la resa dell’Ucraina?
«No, non si intende, e non intendo, una resa dell’Ucraina. Ma creare i presupposti affinché davvero si smetta con bombe e missili, sangue e morte. Perché altrimenti se non si finisce di alimentare i vari focolai l’incendio diventerà sempre più grande, terrificante e indomabile».
Ma non si può insistere a chiedere che il Cremlino interrompa l’aggressione?
«Siamo a un punto in cui occorre essere massimamente realisti. La ragione mi dice che i leader di un Paese come la Russia, che è un impero mondiale, per ora non accetterebbero di essere umiliati - secondo la loro interpretazione di umiliazione - da un’altra nazione. Di fronte a questa irrazionalità bisogna avere il coraggio di acconsentire, come male minore, a una trattativa, per non andare incontro a un male peggiore e irrimediabile. Ioda credente vedo questa situazione simile a un episodio clamoroso nella Bibbia: Geremia nei confronti dei babilonesi. Il profeta propone non una resa ma dei patti, un armistizio, perché Gerusalemme non cada. E viene accusato di essere filo-babilonese, di passare al nemico; come adesso chiunque chieda di lavorare per una tregua finisce per essere definito “putiniano”. E io non sono assolutamente putiniano».
Qual è la sua opinione sul conflitto di Gaza?
«Sembra senza sbocchi. Il massacro del 7 ottobre ha causato in Israele uno choc terribile. Però adesso occorre dire che il governo di Netanyahu sta attuando una vendetta divenuta assurda e sproporzionata, con una carneficina che resterà un’onta. Ha destato anche la protesta di parte della popolazione israeliana. Certo, il popolo d’Israele ha diritto alla sua terra, però non può vivere della vendetta di Lamec, settanta volte sette. Glielo insegna la Bibbia, che è al centro di tutto. I palestinesi sono ormai un povero popolo senza terra, tra i più oppressi di tutto il globo terrestre».
Qual può essere una strada per mettere fine alle violenze?
«Credo che in questo momento la via per una tregua passi dalla decisione di Israele di fermare gli attacchi».
Il Vaticano indica la soluzione dei due Stati come unica possibilità per risolvere la questione Israele-Palestina. Lei è d’accordo?
«Io sono stato molto tempo in Israele e anche nei territori che sono occupati. So quindi che non è facile, ma se non si arriva lì, ai due Stati o a una forma politica di due confederazioni, la guerra andrà avanti per decenni, perché la prospettiva resterà la negazione l’uno dell’altro. Per giungere un giorno alle mete del rispetto reciproco e poi della riconciliazione, è necessario riuscire a fare in modo che israeliani e palestinesi condividano quella terra. Nonostante tutto, non voglio perdere la speranza nei due Stati in pace tra loro nella Terra Santa».